Il giorno in cui in America scoprirono, con gioia, la pizza
Era il 20 settembre 1944. L’Italia stava lottando strenuamente per vincere il fascismo e i soldati americani combattevano, metro dopo metro, cercando di liberare il nostro Paese dagli invasori tedeschi. Intanto, questi stessi soldati, entravano in contatto con un mondo per loro lontano, inesplorato e paradisiaco: quello della cucina italiana. Nelle lettere alle famiglie e alle fidanzate rimaste ad attenderli a casa, raccontavano di prelibatezze uniche e gustose. Tra queste, una su tutte: una strana torta salata, dal sapore ricco e che non smetteresti mai di mangiare. Noi italiani la chiamavamo pizza.
Pochi giorni fa, il New York Times, ha rispolverato sul proprio sito i primi due articoli apparsi sul noto quotidiano statunitense in cui, per la prima volta, si parlava della pizza. Un piatto che negli anni è diventato abitudinario negli States, seppur con differenze di qualità rispetto a quello che siamo abituati a gustarci in Italia noi, viziati buongustai. Eppure già nei lontanissimi Anni ’40, alcuni nostri connazionali emigrati negli Usa stavano iniziando a far conoscere questa prelibatezza al pubblico americano. Lo racconta la giornalista Jane Holt nella sua rubrica News of Food sul NYT. Era il 20 settembre 1944.
«Uno dei piatti più popolari del Sud Italia». Nell’articolo, intitolato Pizza, a Pie Popular in Southern Italy, Is Offered Here for Home Consumption (pizza, una popolare torta del Sud Italia, la si può trovare anche qua e consumarla a casa, ndr), la Holt descrive l’incredibile novità portata negli States da Luigino Milone, italiano emigrato in America e titolare del ristorante Luigino’s Pizzeria Alla Napoletana, situato a New York, al 147 di West Fortyeighth Street. La Holt spiega che Milone offre ai suoi clienti il piatto nella sua autenticità, ma soprattutto permette a tutti di poter gustare questa prelibatezza nella propria abitazione: la “torta”, infatti, viene messa, ancora calda, in delle apposite scatole che vengono poi consegnate ai clienti o addirittura consegnate a domicilio. Insomma, Luigino ha portato in America la pizza d’asporto. La Holt scrive:
«Il piatto viene preparato in un angolo del ristorante. Lì i clienti possono osservare come ogni palla di pasta venga premuta fino a diventare un disco alto circa un centimetro e largo, forse, 6 pollici. Poi, con la destrezza di un batterista che percuote il tamburo con le sue bacchette, il pizzaiolo prende il disco e inizia a farlo roteare, prima in una mano e poi nell’altra. Più lo fa roteare, più il disco si allarga, diventando sempre più grande e sempre più fine. Quando ha raggiunto la grandezza desiderata, lo pone su un banco cosparso di farina per ricoprirlo con gli ingredienti richiesti.
Ieri, osservando le preparazioni, ci siamo resi conto che la pizza alla mozzarella è stata la più richiesta e Luigino Milone ci ha spiegato che è normale. Dei pezzi di mozzarella - un formaggio italiano fatto con latte di capra (già, piccolo errore dell’autrice, ndr) - di media grandezza vengono messi sulla pasta e poi viene versata una salsa di pomodoro fresco. A questo punto viene messo del formaggio grattugiato e olio di oliva. La torta viene poi fatta scivolare giù dal banco e infilata in un grande forno, senza essere messa in una teglia.
Dopo 5 o 7 minuti di cottura - il forno viene tenuto a una temperatura straordinariamente alta -, il piatto è pronto per essere servito e l’intera preparazione non ha ha avuto bisogno di più di 10 o 12 minuti. Nonostante non sia stata usata una teglia da forno, il bordo della torta è gonfio e rialzato a causa della lavorazione manuale del pizzaiolo».
La Holt spiega poi che un’apprezzata variante della pizza è il “calzone alla napoletana”, ovvero «non una torta classica – scriveva –, ma una torta preparata per metà e che viene chiusa con l’altra metà ripiegata sopra». La giornalista aggiunge che «the pizze» (un raro caso in cui il plurale di pizza veniva detto all’italiana, e non con l’americano “pizzas”, diventato poi abituale) venivano poi servite con vino o birra, e accompagnate da insalata. Ma la vera novità di questo piatto era la possibilità di prenderlo in un ristorante, per poi gustarselo comodamente a casa:
«I piatti da portare nelle case dei clienti rimangono caldi per circa 10 o 15 minuti, ma possono essere scaldati in un forno a temperatura media per pochi minuti se il viaggio verso l’abitazione dovesse essere più lungo. Il prezzo varia da 50 centesimi di dollaro a 2 dollari, dipende da che tipo di pizza si desidera. Da ogni pizza si possono ottenere quattro porzioni, che possono essere mangiate tenendo comodamente la fetta in mano».
Una pizza calda e… appassionata. Tre anni dopo la pubblicazione di questo primo articolo dedicato alla pizza, il NYT capì il vero potenziale di questo piatto completo, gustosissimo e facile da adattare ai nostri gusti e desideri. Il 25 maggio 1947, infatti, sempre all’interno di una rubrica sul quotidiano dedicata a delle ricette semplici da fare a casa, la giornalista Jane Nickerson scrisse:
«Trasforma la tua cucina in una vera e propria pizzeria italiana, ovvero il posto dove le pizze vengono realizzate, calde e appassionate. Un disco di pasta viene cotto al forno con pomodoro fresco, acciughe e formaggio, tagliato a fette e infine mangiato con le mani mentre si sorseggia del buon vino. È un cibo informale, ottimo per le cene sotto il portico tanto apprezzate nelle stagioni più calde. La pizza potrebbe essere un piatto veloce e popolare quanto gli hamburger se solo gli americani lo conoscessero meglio»
Un pensiero profetico, visto che oggi l’America ama la pizza tanto quanto (se non di più) degli hamburger. New York è diventata la seconda patria, dopo l’Italia, della pizza e dietro ogni angolo si nasconde un piccolo locale dove poter gustare in compagnia un trancio di pizza fumante, farcito con gli ingredienti che più desideriamo gustare. L’articolo della Nickerson prosegue con la ricetta per la preparazione di «una pizza calda e appassionata», come dice lei. Ma noi siamo italiani: vogliamo veramente farci raccontare come si fa la pizza da una ricetta americana datata 1947? Anche no, grazie lo stesso. Ma è bello scoprire come l’America si innamorò di un piatto totalmente italiano, con il cuore tricolore. E con esso, di come l'America s’innamorò un po’ del nostro Paese.