Il primo santo in giacca e cravatta (anche i padroni vanno in Paradiso)
Se lo vuole santo il Papa ci sono buone probabilità che lo diventi. «Sto portando avanti la causa di beatificazione di un ricco imprenditore argentino, Enrique Shaw che era ricco, ma santo», ha detto papa Francesco all’emittente messicana Televisa. «Una persona può avere denaro» (e ci mancherebbe altro che non potesse) «Dio il denaro lo concede perché lo si amministri bene. E quest’uomo lo amministrava bene. Non con paternalismo, ma facendo crescere quelli che avevano bisogno del suo aiuto». Altro da aggiungere? Un po’ di storia, forse, per sapere che è stato proprio il cardinal Bergoglio, quando era ancora Arcivescovo di Buenos Aires, a iniziare la causa che poi ha ricevuto a Roma come vescovo del’Urbe.
Dunque Enrique Shaw potrebbe essere il primo imprenditore a essere dichiarato beato. Chi era costui? Un laico, un padre di famiglia, dirigente della società civile impegnato nella chiesa del suo tempo. Detto così potrebbe sembrare niente. Potremmo aggiungere che, rampollo di una famiglia altolocata di Buenos Aires, dopo una breve parentesi in marina ("fu tra i primi ufficiali a dare la comunione ai soldati, quando la pratica era mal vista nell’esercito argentino") decise di dedicarsi agli affari al termine della Seconda guerra mondiale». Lo ha ricordato Navarro Floria, avvocato e docente di Diritto ecclesiastico nel Paese sudamericano.
E anche con questo dettaglio il passo avanti che si fa verso la chiarezza potrebbe sembrare di poco momento. A meno che non si sappia che la marina, in Argentina, è sempre stata al centro di intrighi di ogni tipo. Dunque questo Enrique Shaw entrò sì in marina, ma soprattutto se ne tirò fuori. Questo è l’importante. Nel 1952 fondò, insieme ad altri imprenditori, l’Associazione Cristiana Dirigenti di Impresa (qualcosa di simile alla nostra UCID) e, per non perdere l’abitudine alla prima linea di combattimento, fu tra i fondatori dell’Università Cattolica argentina (da noi ci volle un frate, padre Gemelli), nonché presidente dell’Azione cattolica del suo Paese e fondatore del Movimento familiare cristiano.
Sì, anche da noi ci furono Armida Barelli e poi il Sindacato delle Famiglie. Ma in Argentina non era la stessa cosa. Perché laggiù la situazione politica era piuttosto convulsa. E infatti nel 1955, mentre declinava la stella di Perón, Shaw fu tra le persone imprigionate in seguito all’ondata di violenze scatenate dal dittatore populista contro esponenti cattolici (tanto religiosi che laici). Fra queste persone c’era anche un sacerdote meraviglioso, Francisco “Paco” Rotger, che fu poi il primo - a quanto è dato sapere - a raccogliere materiale per la beatificazione di Shaw. Purtroppo Paco morì troppo presto per condurre a termine l’operazione. Aggiungiamo solo che col termine “violenze” si intende che furono date alle fiamme numerose chiese e perfino la curia di Buenos Aires. Immaginatevi cosa sarebbe Bergamo col duomo e il seminario in fiamme. In questa situazione di caos assoluto Shaw si mantenne fedele agli aspetti elementari della fede. La famiglia, che era molto ricca, gli mandava materassi per alleviargli le fatiche della detenzione: e lui li regalava ai compagni meno fortunati. Lo stesso coi pacchi alimentari. Forse lo avremmo fatto anche noi, però in quel caso lo ha fatto lui.
Passata la buriane peroniste e antiperoniste, liberato e diventato Amministratore Delegato delle «Cristallerie Regolleau» (la Saint-Gobain argentina) ideò un fondo pensionistico e una mutua per garantire servizi medici, sussidi per malattia e prestiti per urgenze in casi di matrimoni, nascite o morti per i 3400 operai. In un Paese nel quale i ricchi pensavano soltanto a farsi amici i potenti di turno non è cosa da poco. Nessuno avrebbe avuto obiezioni al fatto che si interessasse solo ai cristalli (era il suo lavoro), e invece si preoccupava anche degli operai. Cinquanta anni avanti a tutti, in Sud America.
Al punto che quando - nel 1961 - la Regolleau fu acquisita da capitali statunitensi e i nuovi soci annunziarono un taglio di 1200 tra operai e quadri il nostro Shaw, già in fin di vita (un tumore lo avrebbe portato via l’anno dopo, a soli 41 anni) andò fino negli Stati Uniti per impedire che la decisione avesse seguito. Certo, sapeva benissimo che da un punto di vista strettamente finanziario quel licenziamento era assolutamente comprensibile. Però non di solo cristallo vive un’azienda e quindi si presentò al nuovo Consiglio di Amministrazione con un piano che consentiva il mantenimento di tutto il personale fino a quando il mercato non si fosse ripreso. L’unico sacrificio chiesto alle maestranze fu un cambio di destinazione per alcuni, sempre, però, all’interno dell’azienda. Il piano, molto ben congegnato, fu non solo accolto ma anche apprezzato.
Chi volesse può trovare tutte queste notizie - e anche altre - nel libro Il Vangelo degli audaci scritto da due storici spagnoli, Gustavo Villapalos e Enrique San Miguel. Shaw si trova in buona compagnia: fra le altre biografie si incontrano quelle di Konrad Adenauer (il cancelliere tedesco fra i fondatori dell’Europa), Robert Kennedy (Ministro della Giustizia degli Stati Uniti, assassinato al pari del fratello JFk) e il nostro Aldo Moro.
Per quanto ben conosciuto come imprenditore, solo dopo la morte si venne a conoscenza dell’enorme mole di scritti che Shaw aveva lasciato come studioso della dottrina sociale della Chiesa e della teologia soprattutto francese (Maritain, De Lubac e altri). «Fu un precursore dello spirito del Concilio», sintetizza Navarro Floria. Le sue idee le espresse in congressi, conferenze, pubblicazioni e scritti. Un lascito monumentale. «Uno dei lavori più difficili della causa di canonizzazione è stato riunire tutti gli scritti di Shaw, che sono stati inviati a Roma nel 2013 e approvati dalla Congregazione per la Causa dei Santi nel gennaio del 2015. Per noi è stata una gioia che il Papa lo abbia citato – osserva Navarro Floria - anche perché è una causa che sente sua, l’ha aperta qui nel 2005, quando era arcivescovo di Buenos Aires e l’ha ricevuta a Roma da Papa». [vaticaninsider.lastampa.it]
Era a questo lavoro monumentale che aveva posto mano il grande Paco Rotger, fondatore - se non ricordiamo male - anche dell’edizione argentina dell’Osservatore Romano. Anch’egli di famiglia altolocata, cappellano militare negli anni della sua gioventù, ovviamente oppositore di Peron e da lui condannato a morte, fu testimone di un periodo così turbolento e sanguinoso della storia argentina che esserne usciti - lui e Shaw - non solo mantenendo la fede, come dice san Paolo, ma brillando di carità nei confronti degli altri (senza distinzione di classe: ricchi e poveri sono uguali davanti al Signore) dovrebbe costituire di per sé motivo per essere elevati alla gloria degli altari.