Qualcuno lo definisce «eroe»

Il social media manager di Unicef ha dichiarato guerra ai webeti

Il social media manager di Unicef ha dichiarato guerra ai webeti
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«Mi hanno chiamato eroe, ma io difendo soltanto il nome di un'organizzazione in cui lavoro da venticinque anni e che non ruba, non si accorda con gli scafisti, non è burocratica né superpagata. Andiamo in mare con la Guardia costiera e cerchiamo di dare una speranza a bimbi che sbarcano con il terrore negli occhi». A parlare è Alberto, cinquant'anni, una laurea in Scienze politiche indirizzo internazionale e l'incarico di social media manager per Unicef Italia, alla guida di uno staff composto da altre quattro persone. Queste parole le ha rilasciate a Repubblica, in un'intervista che gli è stata fatta dopo che, da qualche giorno, Alberto ha deciso di rispondere a tono a tutti quelli che, armati di tastiera e coraggio da leone, si son messi ad attaccare, spesso con toni per niente gentili, il lavoro svolto dall'organizzazione no profit.

È l'ultimo, deprimente capitolo di una storia iniziata una settimana fa e riguardante il ruolo delle ONG nella gestione dei flussi di migranti nel Mediterraneo. Il pm di Catania Carmelo Zuccaro, in televisione, ha affermato che le organizzazioni non governative hanno rapporti con gli scafisti; un'opinione diventata presto arma politica nelle "mani" del pentastellato Luigi Di Maio e del leghista Matteo Salvini, sebbene smentita sia dal Copasir che dal procuratore di Siracusa, Francesco Paolo Giordano. Eppure, sul web, delle smentite se ne perdono le tracce, affogate in uno tsunami di commenti indignati rivolti alle ONG. E Alberto di Unicef ha perso la pazienza, decidendo allora di rispondere a tutti (o quasi), colpo su colpo, con fermezza e pazienza, ma anche con sarcasmo e, soprattutto, con le statistiche ufficiali, quelle che spesso sono totalmente ignorate da chi scrive commenti critici.

 

 

Tutto ha avuto inizio la sera di venerdì 28 aprile, quando l'account ufficiale di Unicef Italia ha scritto su Twitter: «Rispetto per chi soccorre, rispetto per chi soffre, rispetto per chi muore, nessun rispetto per chi infanga», accompagnando il tutto con una foto di due persone che soccorrono una bambina in mare. È stato il finimondo, come spiega a Repubblica Alberto: «Sabato mattina Twitter è esploso. All'inizio erano tutti contro, con sorpresa: "I figli dei migranti sgozzeranno i nostri figli... Perché una volta salvati non li riportate indietro...". Ho iniziato a rispondere a modo mio, polemico, e verso sera il vento è cambiato». Ma non per molto: dopo un intervento al Tg2 del portavoce dell'organizzazione, su Twitter è arrivata un'altra ondata di attacchi a Unicef, a cui il cinquantenne, però, ha saputo far fronte: «Non mi sono staccato dal pc fino alle due di notte. Domenica mattina di nuovo. Giusto un'ora per correre e poi di nuovo sulla tastiera. Potrebbe durare una settimana, mi sono fatto le ossa con i dibattiti sui vaccini».

 

 

L'obiettivo di Alberto, forse eccessivamente ottimistico, è "illuminare" gli ignoranti esponendo dati e fatti, rendendoli edotti del lavoro che, realmente, Unicef (così come tante altre ONG) svolge ogni giorno per salvare vite umane. Purtroppo, però, questo atteggiamento è stato visto da alcuni come arrogante e supponente. «Li ha letti i commenti di questi troll?» chiede all'intervistatore Alberto. «Vivaddio ora iniziano a uscire fuori quelli che ci sostengono». Come Il Post ad esempio, prima testata a riconoscere l'impegno del cinquantenne e a elogiarlo in un articolo intitolato "L’eroico social media manager di Unicef Italia". A chi accusa le ONG di fare soldi sulle spalle di chi soffre, ad esempio, Alberto spiega che «l'Unicef ha centinaia di volontari e chi è assunto non ha certo lo stipendio di un funzionario d'ambasciata, piuttosto il contratto dei commercianti»; così come prova a spiegare che è fondamentale «non sparare sul mucchio» e «colpire quelle organizzazioni che sbagliano o commettono reati».

 

 

Anche La Stampa, davanti a quello che è diventato un vero e proprio esempio di grande gestione dei social, ha deciso di applaudire Alberto, con un commento che ci sentiamo di condividere in pieno anche noi a chiusura di questo articolo: «Per questo è stato in questi giorni così importante e bello il lavoro fatto su Twitter da Unicef Italia. Perché hanno fatto qualcosa che bisognerebbe fare molto più spesso: mettersi al centro dell’informazione per ristabilire delle verità semplici, comprensibili, nette. Altrimenti a naufragare saranno anche le regole base del nostro stare insieme democratico». Nulla da aggiungere.

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