Dal Policlinico San Marco

Infermiere assiste la moglie gravemente malata e i colleghi gli regalano 1800 ore di ferie

È stato sempre al fianco di Sara per aiutarla a vincere la malattia e grazie alla solidarietà di tanti potrà continuare a farlo

Infermiere assiste la moglie gravemente malata e i colleghi gli regalano 1800 ore di ferie
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Lui è un infermiere di sala operatoria. È originario di Levate. Lavora al Policlinico San Marco di Zingonia. Si chiama Beppe Mora e ha 47 anni. Lei invece si chiama Sara Vavassori. Ha 41 anni, è di Canonica d’Adda ed è infermiera nello stesso ospedale. Lui lavora lì dal 1999. Tanti anni. In uno di questi conosce Sara, che lavora nel reparto accanto, e da allora fanno coppia fissa. Si sposano. Vivono a Levate e hanno una figlia. Una famiglia normale. Che si divide fra il lavoro e la bambina che oggi ha sette anni, otto a novembre. Finché, nel 2016, le cose cambiano.

La malattia della moglie

Arrivano i primi problemi di salute per Sara. Problemi di respirazione. Asma o allergia, pensano. Ma i medici, dopo i controlli, lo escludono. La diagnosi degli esperti dell’ospedale San Gerardo di Monza è di quelle che non ti aspetti: una forma rara d’ipertensione polmonare. Grave, ma curabile con la terapia giusta e qualche limitazione. I due si rimboccano le maniche: la vita cambia, ma comunque si va avanti. Sara, con i farmaci, sembra migliorare. Ma dopo un anno la situazione torna ad aggravarsi. Si sente affaticata. Non riesce a fare sforzi. Il saturimetro dice che il livello di ossigenazione del sangue è troppo basso. Nuovo ricovero, stavolta in cardiologia. Tenuta sotto controllo a vista. Beppe le è sempre accanto. Non l’abbandona per un attimo. Si divide fra lavoro, moglie e figlia. Si mangia tutte le ferie fra ambulatori, visite, controlli e lunghi accertamenti.

Il trapianto

Passano otto mesi di calvario e arriva un’altra doccia fredda. L’unica speranza per Sara è il trapianto di polmoni. Ma deve mettersi in lista d’attesa. Con il rischio di un’aspettativa di vita ridotta e poco tempo. Ma c’è la bambina da crescere. La coppia deve farsi forza. Anzi la forza arriva proprio dalla quella piccola, tanto voluta e cercata, a cui va assicurato un futuro. Anche se si vive con l’angoscia di quel che sarà.
Il 21 giugno del 2021 si apre una speranza. Al telefono è l’ospedale di Padova. Dicono di aver trovato polmoni compatibili per il trapianto. Sara viene ricoverata. L’intervento va bene. Dodici ore di sala operatoria. Un’equipe di decine di persone. Voleva esserci anche lui, Beppe, dentro quella sala. Ma il rigido protocollo di sicurezza non lo consente. Per due settimane Sara rimane in terapia intensiva. Quaranta giorni in ospedale. Poi il ritorno a casa. Alle piccole cose domestiche che ora sembrano così grandi. Ai giochi con la bimba che ora sono i più importanti del mondo. Ai sorrisi, alla gioia di vivere di chi ha visto la propria vita appesa a un filo. Guardi i giorni, il sole che sale, l’azzurro del cielo con occhi diversi, dopo tanta sofferenza.

Il ritorno al lavoro e nuove difficoltà

Beppe torna al lavoro. Tutto sembra tornato normale. Difficile, faticoso come sempre, ma normale. Poi durante un controllo in ospedale a Padova, Sara accusa un nuovo crollo respiratorio. La salvano per miracolo. Intubata d’urgenza per una crisi di rigetto, del grado più grave.
Per la famiglia di Levate è una nuova batosta. Beppe fa la spola fra Bergamo e Padova. Si divide fra la figlia e la moglie ricoverata. Le ferie al lavoro sono finite ed è costretto a chiedere l’aspettativa. Perché la burocrazia contempla tutto, ma è cieca davanti ai casi della vita. Sono carte da compilare, firme e burocrazia. Quello che proprio non vorresti mai affrontare, in momenti come quelli.

L'aiuto dei colleghi

Gli viene in aiuto un amico e collega. Si chiama Diego Di Vito, suo caposala. "Non ti preoccupare, vai da tua moglie, faccio tutto io" gli assicura. Poi invece gli viene in mente di far appello alla solidarietà dei colleghi. E quello che succede lascia di sasso. Tutti gli infermieri e gli Oss delle sale operatorie, dopo aver saputo quanto era accaduto, si offrono di donare a Beppe un giorno delle loro ferie ciascuno. Sono trenta giorni in tutto. Sufficienti per consentire a Beppe di raggiungere Sara senza preoccuparsi anche dei soldi che non bastano mai.

Un anno di ferie

La vicenda passa di bocca in bocca. Arriva fino all’ufficio del personale. Alla coordinatrice degli infermieri Stefania De Pieri e al coordinatore del personale amministrativo Fabrizio Colombo. I due pensano subito di coinvolgere altre persone nell’operazione solidarietà. Ne parlano con la direzione che dà il via libera. Telefonano a tutti, uno a uno. Nel giro di pochi giorni, le ore donate a Beppe da infermieri, Oss, fisioterapisti, amministrativi, tecnici, operai e magazzinieri salgono, salgono ancora, diventano milleottocento. Praticamente un anno di ferie, che quel papà tenace potrà dedicare a quella mamma sfortunata e a quella bambina tanto amata.

"Non so come ringraziarli"

"Quando mi hanno detto di questo gesto di solidarietà non ci credevo - racconta Beppe -. Non avevo parole. Non mi sarei mai aspettato che tante persone, molte delle quali non conosco, si sarebbero private di un po’ delle loro ferie per darci una mano. Soprattutto in un periodo come questo, dopo il Covid, quando tutti avrebbero bisogno di un po’ di tempo per rilassarsi. È stata una cosa incredibile. Non so come ringraziare tutti, non so come sdebitarmi".

Sara avrà Beppe ancora una volta al suo fianco. Vicino a lei e alla bimba. Deve affrontare ancora una lunga riabilitazione. I cortisonici assunti massivamente ora le pesano sulle vertebre. Ma continuerà ad avere accanto quest’uomo semplice e straordinario, e il supporto morale di un intero ospedale che attende il suo ritorno.

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