Un monumento alla memoria

Io e quell'artista sulla riva del mare (Credo fosse il migliore del mondo)

Io e quell'artista sulla riva del mare (Credo fosse il migliore del mondo)
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Non è successo a Bergamo, però potrebbe costituire un suggerimento per la GAMeC. Un primo esempio di arte che, portando al limite la definizione di Joseph Kosuth, potremmo chiamare Ultra-Concettuale. Ultra-Conceptual Art. Ultrakonzeptionelle Kunst.

Non è successo a Bergamo. È successo sulla riva del mare. In mezzo ai relitti di una mareggiata neanche troppo forte. È successo perché, di lontano, l’uomo pareva il fratello di Joseph Beuys, altro noto artista concettuale e forse il più concettuale di tutti. Solo il cappello era diverso, perché questo indossava un cappellino da pescatore di cotone, a tesa piccola tipo UCLA, ben calcato sulla testa come teneva Beuys il suo di feltro. Gli sono capitato vicino un po’ perché stavo cercando frammenti che avrei successivamente promosso al rango di objets trouvés, un po’ - e forse di più - perché volevo verificare fino a che distanza la somiglianza avrebbe resistito.

L’uomo era alto, solo - d’altro canto sulla spiaggia saremmo stati sì e no tre in tutto -, in piedi, fisso. E guardava il mare. Io avevo trovato due grossi bamboo e li stavo trascinando sull’arenile, per non far fatica, quando lui mi domanda, improvviso in italdeutsch: «Sta prendendo Bambus?». «Sì - ho risposto intuendo l’accento - ma se li vuole posso lasciarglieli. Raccoglie bamboo anche lei?». No, lui non li raccoglieva. Tanto tempo prima li cercava e li portava a casa, ma adesso non più.

È iniziata così una conversazione surreale in cui entrambi cercavamo di favorire l’altro parlando la sua lingua invece di accordarci tacitamente, dopo un paio di battute, sul fatto che l’altro avrebbe compreso anche se avessimo parlato nelle nostre rispettive. Ma tant’è: è sempre bello poter mostrare che si ama qualcosa dell’altro.

Dunque questo tale in cappellino raccoglieva anche lui bamboo, prima. Per via di un viaggio che aveva fatto in Giappone e che non ho capito cosa lo avesse portato a pensare di questa magica canna dalle mille specie. Lo raccoglieva e poi lo portava nel suo ciardìno per fare delle cose per la sua Frau che amava molto le spalliere di Bambus un po’ vecchi che sostenevano i fiori. E bravo il mio amico tedesco che aveva un ciardìno. Però un ciòrno la sua signora aveva detto: «Ancora Bambus? Non ne abbiamo forse troppo tanti?». E allora lui aveva smesso di cercare Bambus. Però ogni volta che lasciava un Bambus senza prenderlo era come se facesse una cosa (Denkmal, come si dice in italiano Denkmal? Monumento), un monumento alla sua signora: un grande Monimento, un Monimento immateriell (cosa è in italiano immateriell? Immateriale) molto più grande di quelli in ciardìno, perché è in tutto il mondo ogni volta che c’è un Bambus allora c’è il mio Monimento per la mia Frau.

A questo punto non ho potuto trattenermi dal dirgli che c’era una poesia di Jorge L. Borges… «The unended Gift?», ha detto lui. The unended Gift, appunto. Ci eravamo capiti perfettamente. La poesia dice che un amico aveva promesso un quadro, a Borges. Però poi era morto senza aver avuto il tempo di portarglielo. E Borges, saputo che l’amico era morto, ha scritto questa poesia per dire al mondo che quel quadro, col suo non esserci materialmente, col suo non occupare lo spazio che era già stato preparato per accoglierlo, si era acquistato un’immortalità che nessun oggetto materiale può possedere. Grazie, Jorge Larco, scrive Borges.

E io ero lì, a fianco del più grande artista del mondo, dell’artista più avanti di tutti quelli che conosco, che voltatosi nuovamente a guardare il mare luccicante d’argento sotto il sole, probabilmente stava contemplando l’immenso, trasparente monumento alla moglie che le nostre parole e il nostro incontro avevano fatto sorgere per qualche istante. Sarebbe bello portarlo alla GAMeC, pensavo, il Monimento dei Bamboo lasciati. Non c’è nemmeno bisogno di assicurazione. Si potrebbe anche posizionarlo fuori, sulla strada: tanto non intralcia il traffico. Ed è un po’ come il lavoro immenso e invisibile di Dio, dicevo fra me e me. La sua opera fatta di memoria e basta, di memoria pura e onnipresente. Ma forse stavo esagerando.

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