Siamo nel 1944, la sera del 24 dicembre

La vigilia nel lager in cui Guareschi raccontò la sua Favola di Natale

La vigilia nel lager in cui Guareschi raccontò la sua Favola di Natale
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La Favola di Natale contiene illustrazioni dell'autore.
La loro riproduzione in questo articolo è autorizzata da Alberto e Eredi di Carlotta Guareschi.

 

Il cervello funziona in modi misteriosi. Quello dello scrivente, in particolare, viaggia spesso per libere associazioni mentali. Anche molto libere, talvolta: Natale, Messa di mezzanotte, parroco. E fin qui ci siamo, direte. Poi però a “parroco”, il pensiero si collega subito a don Camillo, pretone della Bassa nato dalla magica penna di Giovannino Guareschi. Proprio a Natale, perché in quel 1946 il buon Giovannino stava preparando un racconto “una tantum” sulla sua terra per il settimanale Oggi. Ma il Candido, il “suo” settimanale umoristico, doveva andare in stampa anticipatamente, per via delle festività. Così il racconto fu preso dall’Oggi (dove sarebbe nato e morto lì, verosimilmente) e inserito nel Candido. In quel racconto comparvero per la prima volta don Camillo, «umile con gli umili e arrogante con i potenti», e Peppone, «il capoccia della sinistra, un comunista a modo suo». Già da Santo Stefano, i “candidolettori” iniziarono a mandargli tante e tante lettere da costringerlo a scrivere un secondo racconto. E poi un terzo, un quarto... e il resto è storia. Un’altra storia, però. Ve la racconteremo magari. Ma oggi il Guareschi che ci interessa è quello di due Natali prima. Siamo nel 1944, manca una settimana al 25. Siamo in un Lager. Un Lager?! Sì.

 

Favola di Natale buoni

 

Come siamo arrivati qui. Giovannino Guareschi all’epoca era un giovane redattore-vignettista del Bertoldo, settimanale umoristico edito da Angelo Rizzoli e diretto da Giovanni Mosca (papà di Maurizio), ma condito anche di tanti altri big: Giacinto Mondaini (padre di Sandra), un giovanissimo Federico Fellini in veste di vignettista, Achille Campanile e Saul Steinberg (divenuto poi celeberrimo disegnatore del New Yorker, di Life e del Time). Furono loro a venire in suo soccorso quando un giorno di ottobre, nel 1942, gli venne comunicato che suo fratello Giuseppe, militare, risultava disperso in Russia. Tempo dopo si scoprì che la notizia non era neanche vera; tempo dopo, però. Quella sera per lenire il dolore si riempì «di grappa fino agli occhi» (come scriverà successivamente) e si incamminò verso la sua casa milanese. Lungo il tragitto, ebbe modo di esprimere a volume adeguato il suo dissenso verso il responsabile della morte del fratello. L’indomani si trovò incarcerato per “reiterati insulti alla persona e alla virilità del Fondatore dell’Impero”. L’oltraggio al Duce era punibile con la morte, e il tribunale speciale deputato a giudicarlo sembrava orientato in questa direzione. Ci volle tutta l’abilità diplomatica di Rizzoli e degli amici del Bertoldo per commutare la pena in un richiamo nell’esercito: Tenente ad Alessandria. Qui si trovava Guareschi il giorno dell’armistizio. Gli ex alleati tedeschi circondarono la caserma, e intimarono ai militari italiani di aderire alla loro causa. Chi rifiutava, sarebbe dovuto partire. Per i Lager. Non uno, vari, perché gli spostamenti periodici in Lager via via sempre peggiori erano pensati per far cedere i prigionieri. Ma non cedettero. E fu così che fra i vari campi di concentramento tra Polonia e Germania, alla fine del ’44 Giovannino si trovava a Sandbostel, nel nord della Germania, a metà fra Brema e Amburgo.

 

Favola di Natale

 

L’idea della Favola. Fu qui che pensò, come avrebbe scritto su Oggi vent’anni dopo: «sta per arrivare il Natale: perché non scrivi una bella favola per questi pezzenti divorati, come te, dalla fame, dalle pulci e dalla nostalgia? È un modo come un altro per riportarli ai pascoli domestici, per riattaccarli alla vita». In tre giorni la Favola era pronta e venne letta pubblicamente la sera della vigilia, con l’accompagnamento musicale di alcuni compagni di prigionia. Il successo fu tale da costringerlo a fare altre quattro letture pubbliche nei giorni successivi, con la baracca-teatro sempre piena di gente.

Consigli per l’acquisto. Attualissima allora come oggi, tanto da esser stata stampata e ristampata svariate volte, la Favola di Natale si presenta nell’ultima versione come un magnifico libricino perfetto per essere regalato; la trovate sui siti più noti, ma vi consigliamo vivamente, se potete, di acquistarla al Club dei Ventitré, l’associazione culturale voluta dai figli Alberto e Carlotta (scomparsa da poco e che ricordiamo con affetto, noi che l’abbiamo conosciuta) per ricordare le opere di Giovannino; ventitré sono i lettori che Guareschi diceva di avere (in realtà, milioni). Il tragitto, nel cuore della Bassa, vi trasporterà anima e corpo nel mondo di don Camillo, fino ad arrivare a Roncole di Busseto, dove vicino alla casa natale di “un certo” Giuseppe Verdi si trova il club: il museo e il book shop al piano terra, il centro studi al piano superiore, il meraviglioso bar di famiglia a fianco, tutto parla di Giovannino, perfino il vino. Sarà più di un acquisto, sarà un’esperienza. Fidatevi.

 

Favola di Natale funghi cattivi

 

Una Favola di speranza. Dentro ci trovate Alberto e Carlotta, come personaggi, assieme a Giovannino stesso, a sua madre, alla moglie e perfino al cane di famiglia. E siccome è Natale Albertino ha imparato la poesia da recitare al babbo, che però è lontano, è nel Lager. Perciò si incammina insieme alla nonna e al cane Flik alla ricerca del papà, incontrando lungo il percorso una serie di personaggi “da favola” (funghi, passeri, cornacchie parlanti). L’autore li usò come metafora per indicare i vari elementi del mondo e del regime dell’epoca senza che i soldati tedeschi, di guardia durante le letture, potessero cogliere le allusioni. Le illustrazioni che trovate nel libro (disegnate da Guareschi) sono molto utili a chiarire ulteriormente queste metafore (giudicate voi chi possono essere, ad esempio, i tre funghi cattivi). Ora lasciamo che siate voi a scoprire come prosegue il viaggio di Albertino e della nonna, noi ci limitiamo a riportare la conclusione, che Giovannino affida a una poesia-filastrocca:

Stretta la foglia – larga la via
dite la vostra – che ho detto la mia.
E se non v’è piaciuta – non vogliatemi male,
ve ne dirò una meglio – il prossimo Natale,
e che sarà una favola – senza malinconìa:

«C’era una volta – la prigionìa…»

Una conclusione di sentimento e di speranza, una previsione giusta per il buon Guareschi, che il Natale successivo lo passò davvero a casa. E mantenne la promessa, perché a Milano raccontò la Favola ai suoi ex compagni di prigionia, iniziando con «C’era una volta un prigioniero…». Sono trascorsi settant’anni, ma questi esempi positivi, Giovannino, i nostri padri, i nostri nonni, ancora oggi ci aiutano. Ci aiutano a riflettere, a pensare: se c’erano uomini con un briciolo di speranza in quei momenti neri come la pece, anche in questo mondo che ci sembra sempre più brutto, e per certi versi sempre più simile a quello di allora, possiamo imparare dalla Storia gli errori del passato e coltivare la speranza di migliorarlo e migliorarci.

casa natale Giuseppe Verdi
Foto 1 di 4
centro studi Giovannino Guareschi
Foto 2 di 4
Don Camillo all'ingresso del Club dei Ventitré
Foto 3 di 4
Foto segnaletica Guareschi 2
Foto 4 di 4

Favola di Natale copertina

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