Della Cooperativa Ruah

La scuola di italiano a Boccaleone dedicata alle mamme straniere

La scuola di italiano a Boccaleone dedicata alle mamme straniere
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In una piccola aula dell’Istituto “Valli” a Boccaleone, tredici ragazze sono chine su un libro, scrivono della loro vita in Italia e dei ricordi del loro Paese d’origine. Alla Scuola d’italiano per donne gestita dalla Cooperativa Ruah le mamme hanno l’opportunità di studiare la lingua e per alcune è anche la prima occasione di alfabetizzazione. Sono, infatti, tutte giovani madri, che spesso non hanno l’opportunità di frequentare corsi, perché impegnate a gestire la casa e i figli fin dall’arrivo in Italia, restando spesso isolate dalla società; mentre i mariti, i padri e i fratelli nella maggioranza dei casi vivono qui anche da dieci o vent’anni e si sono integrati nel tempo grazie al lavoro.Il progetto finanziato da Africa 3000 affianca le ore di studio in classe a un servizio di babysitting, dove i bimbi vengono affidati alle cure di due educatrici nell’area giochi del Condominio Solidale Mater, a pochi passi dalla Scuola Primaria Valli.

Per imparare la lingua e socializzare. «Si parla solo italiano qui – spiega Adriana Perna, che dal 2012 collabora con la Cooperativa Ruah per i corsi d’italiano –. La maggioranza delle iscritte è arabofona, ma per tutte l’italiano è la lingua franca per comunicare con le compagne e per qualcuna è anche la prima lingua che impara a scrivere». Le loro storie sono diverse, legate a Paesi spesso molto lontani, eppure negli occhi di ognuna di loro si legge la voglia di conoscere e la gioia di condividere un momento che è tutto per loro.

Nell’esercizio di scrittura in cui sono impegnate, raccontano il loro tempo libero quando vivevano in Egitto, Marocco, Nigeria, prima del matrimonio, prima dei figli: c’era chi giocava a calcio, chi amava le passeggiate in bicicletta, chi andava al cinema con le amiche o al mare. Oggi il tempo per se stesse è quasi inesistente e le attività di socializzazione offerte dalla Scuola d’italiano rappresentano un modo per aprirsi alla comunità. «Da quando frequento il corso d’Italiano faccio i compiti con mio figlio più grande e il piccolo di tre anni a casa spesso mi corregge quando parlo», racconta Khadija, 25 anni, proveniente dal Marocco, a Bergamo da sette anni. Maha, 30 anni, egiziana, è in Italia solo da quattro mesi, ma parla già italiano: «Grazie a questo corso mi sento più sicura, non mi vergogno di rivolgermi alle persone che incontro».

Nostalgia di casa e futuro in Italia. Il Paese natìo manca, spesso i parenti più stretti sono rimasti là, ma non tutte vorrebbero tornare: «Ora la mia vita è qui e i miei bambini sono nati in Italia e crescono imparando l’italiano – dice Asma, 32, tunisina con due due figli e un marito in Italia da diciassette anni –. Però forse tra vent’anni, quando saranno grandi potrei tornare». «Mi piacerebbe ricominciare a fare la cuoca – dice Hanna, 29 anni, viene dalla Giordania ed è in Italia da sei anni, prima di avere i suoi due bambini gestiva un ristorante kebab insieme al marito –. Non credo vorrei tornare, perché mi sento un po’ straniera quando ritorno dove abitavo». Non la pensa così Kauotar, 30 anni, marocchina con un marito egiziano conosciuto in Italia, è arrivata nel 2004 e ha vissuto a Lodi, Bologna, poi in Spagna e Francia da alcuni zii ed infine a Bergamo: «L’ho scelta perché è la città più bella, è comoda e c’è tutto. Ora anche la famiglia vive qui. Mio papà era stato il primo ad arrivare, vent’anni fa. A me tornare in Marocco dove sono cresciuta piacerebbe».

I numeri in crescita, le cene e un libro. Il corso prevede la frequenza due volte a settimana in due classi suddivise a seconda del livello. L’anno scorso le iscritte erano ventuno, con provenienze disparate: dal Marocco all’Argentina, dalla Bolivia all’Ucraina, dall’India alla Tunisia, dal Pakistan al Senegal. Quest ’anno le partecipanti sono più che raddoppiate: 54 donne hanno preso parte alle lezioni che dureranno fino a giugno; così come sono aumentati i bimbi al babyparking, passati da dieci a trentatré.

Non solo libri, però. Vengono organizzate anche visite al consultorio, pranzi sociali per assaporare i piatti dei diversi paesi d’origine e uscite culturali per conoscere la città di Bergamo. «Il lavoro del corso è innanzitutto fare accoglienza e dare loro strumenti per creare una rete sociale al di fuori della famiglia, perché spesso a causa dei costi per gli spostamenti e per ragioni culturali, vivono chiuse in casa – spiega Elisabetta Aloisi, coordinatrice della Scuola d’italiano e autrice del libro utilizzato dagli studenti. Ataya, che dà il titolo al libro, significa Tè in senegalese proprio perché lo scopo è imparare parlando, come seduti davanti ad una tazza di tè. Apprendono frasi utili e competenze concrete, attraverso la simulazione di situazioni della vita quotidiana come andare dal medico o fare la spesa. Si tratta di uno strumento importante per l’integrazione, ogni quartiere dovrebbe avere questo servizio».

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