Dal Giornale di Treviglio

«Il "mio" ospedale di Treviglio mi ha davvero salvato la vita»

«Il "mio" ospedale di Treviglio mi ha davvero salvato la vita»
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Nadia Tombini, cinque anni fa, aveva una strana febbre. Saliva fino a 39, per tre giorni. E poi spariva, per poi tornare ciclicamente. Non lo sapeva ancora che non era influenza, ma un raro tumore, che colpisce solo un italiano ogni 1-2 milioni, e uccide di solito nove pazienti su dieci. Comincia così la storia di una ragazza tranquilla e solare, che ti accoglie nel suo salone di bellezza in via Vicinato, a Caravaggio, con il sorriso di chi se l’è vista brutta senza perdere il coraggio, mai. E oggi, che quell’incubo si può finalmente dire finito, vuole soprattutto ringraziare chi gli ha restituito un’esistenza normale. Era la primavera del 2012 e Nadia aveva 28 anni. «Mi sono convinta a farmi visitare dal medico, che a sua volta mi ha mandato a fare una visita specialistica - ricorda - Ho quindi incontrato il dottor Maurizio Destro, internista di Medicina che subito ha capito che c’era sotto qualcosa...». Infatti, alla febbre successiva, scatta il ricovero. E il quadro degli esami si complica quel tanto che basta a far capire che c’era «sotto» qualcosa di grosso.

È l’inizio di una diagnosi  difficile e scrupolosa. «Il radiologo Mario Mattiello è stato il primo a vederlo - continua lei - Era un linfoma  alla ghiandola surrenale, un rumore rarissimo». Che richiedeva un intervento immediato. Così si passa nel settore della Chirurgia Oncologica. Opera il primario, Giovanni Sgroi, insieme all’anestesista  Sandra Ferraris. È il 13 giugno del 2012. Un altro giorno da ricordare, per Nadia. «Ricorderò per sempre gli occhi della dottoressa Zambelli, al mio risveglio - continua - Dopo cinque ore di intervento, mi sembrava un miraggio poter  tornare al lavoro». Ma non era finita. C’è una ferita importante che non vuole guarire, e che nel giro di pochi giorni, dopo un ricovero post-operatorio di due settimane, la riporta in Medicina per un altro mese e mezzo. «Al terzo ricovero, ho conosciuto i miei angeli del settimo piano - prosegue lei - che mi hanno riempito di attenzioni e di aiuto». Eppure, di nuovo, non era finita. Comincia la terapia oncologica, con il primario Sandro Barni in collegamento con  uno dei pochissimi  centri al mondo in cui si studia il rarissimo tumore  della ghiandola surrenale, in Germania. Poi altre collaborazioni con Torino, tramite  Alfredo Berruti.

Parte la radioterapia, sempre a Treviglio, con Enrico Sarti. E  la kemioterapia, lunghissima. Due anni di terapia quotidiana, alla quale Nadia ha risposto con una contromedicina micidiale: il lavoro. «Ho reagito bene fin da subito, il mio salone è stato più efficace di qualsiasi terapia psichiatrica - ha continuato - Ho lottato fino al 5 agosto del 2014: l’ultima compressa. Ero incredula, quando l’ho inghiottita». Inutile dire che non era del tutto finita: la rimozione della ghiandola ha portato  una complicazione , il morbo di Addison, che talvolta la riporta in Pronto soccorso.  «Ormai sono un po’ di casa anche lì, e  sono tutti fantastici. Quel che conta è che   sono viva, e ho una vita normale»  spiega  Nadia, con un sussulto di commozione.

Alle spalle ha avuto cinque  anni  di malattia. Un tumore micidiale, un’operazione  difficile e una terapia pesante. Ma non ha perso il sorriso. «Dal tumore si guarisce, chi scopre di averlo non deve perdere la forza e la speranza - spiega - Esistono malattie rare, sì. Ma si possono curare e si possono curare anche all’ospedale di Treviglio». Teatro, ancora una volta, di una storia a lieto fine. «Spesso si parla di sanità solo quando è malasanità, ma a me non poteva andare meglio: ho conosciuto medici, infermieri, operatori fantastici, che lavorano tenendo la persona al primo posto - ha continuato Nadia - È a loro, al mio ospedale, che devo la vita. Non posso che ringraziare ognuno di loro».

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