L'ANIMALE CHE FISCHIA

Il risveglio delle marmotte Quindicimila sulle Orobie

Il risveglio delle marmotte Quindicimila sulle Orobie
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Un fischio lacera l’aria nella vallata. E’ quello di una marmotta, nella sua classica posizione a candela, che a sentinella del gruppo avvisa i compagni della presenza di estranei. E’ una scena questa che può capitare a tutti gli escursionisti che decidono di intraprendere i sentieri delle Orobie, dato che la marmotta (Marmota marmota) è un elemento inscindibile del paesaggio prealpino bergamasco, dal Cimon della Bagozza  in Val di Scalve al Pizzo dei Tre Signori in Val Brembana. Elemento decorativo per eccellenza di prati e pascoli d’alta quota, è una specie protetta che oggi conta nel nostro territorio non meno di 10.000 – 15.000 esemplari. Eppure il suo ritorno sulle Prealpi bergamasche avvenne solo all’inizio degli anni ’70 del ‘900, quando gli operatori del Comitato provinciale della Caccia andarono a prelevare alcuni esemplari dal versante retico della Valtellina e li liberarono in Val di Scalve e in alta Val Brembana. Qui la marmotta, trovandosi subito a suo agio nell’habitat che le è  storicamente proprio, a fronte anche del regime di protezione frutto delle nuove normative, si moltiplicò velocemente fino a toccare l’apice negli anni ’90.

 

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Ma perché una specie oggi così numerosa e da sempre presente nell’immaginario dell’alta montagna a un certo punto della storia si estinse sulle nostre Prealpi? La motivazione è semplice: l’uomo. A partire dalla fine del ‘700 infatti la ricerca continua di nuovi pascoli per il proprio bestiame spinse l’uomo in alta quota e la marmotta ne fece le spese per due motivi. Innanzitutto per motivi alimentari: la carne di marmotta integrava la dieta dell’alpeggiatore, fatta esclusivamente di polenta, latte e prodotti caseari frutto dell’allevamento bovino. Poi perché rappresentava un’ottima integrazione al reddito, dato il valore commerciale della sua pelliccia e del suo grasso (utilizzato per le sue proprietà terapeutiche). Basta ricordare infine che i periodi di attività dell’alpeggiatore e della marmotta coincidono (da maggio a ottobre) e quindi è presto detto come questo animale sia sparito dal nostro territorio fino alla reintroduzione degli anni ’70.

 

MarmottaFoto 5

 

Mentre l’alpeggiatore a ottobre riporta a valle il bestiame, la marmotta inizia il proprio letargo, che durerà fino a fine aprile/inizio maggio. Senza mangiare nulla e in condizioni di freddo estremo, la marmotta riesce a sopravvivere grazie al perfetto funzionamento del proprio metabolismo, che viene ridotto al minimo: respirazione e battito cardiaco vengono abbassati ai limiti del possibile, mentre lo strato di grasso accumulato durante l’estate mangiando erba tenera e fiori di tarassaco viene lentamente consumato. Le tane sono situate solamente a un metro/un metro e mezzo al di sotto del suolo e sono tappezzate di foglie e fieno. L’effetto coibente della neve al suolo aiuta la marmotta a sopravvivere, al contrario, se il manto nevoso è assente, il freddo penetra facilmente sotto terra, causando ipotermia e mortalità invernale. In seguito, con l’innalzamento della temperatura e con l’allungarsi delle giornate, verrà riattivato il normale metabolismo.

 

MarmottaFoto 3

Il forte incremento del numero delle marmotte sulle Orobie si è interrotto agli inizi del 2000 per effetto dell’aquila reale. In effetti la marmotta, oltre ad avere un enorme significato dal punto di vista paesaggistico (dato che è una specie diurna facilmente contattabile), è un elemento ecologico di enorme valore, poiché costituisce la base alimentare di predatori importanti, quali l’aquila reale, il lupo, la lince, e garantisce dunque la biodiversità delle Alpi. In particolare, le non meno di undici coppie di aquila reale nidificanti in territorio bergamasco devono la loro presenza appunto alla marmotta. Basti pensare che per lo svezzamento di un pulcino di aquila reale occorrono 200 Kg di selvaggina, che nel caso specifico è rappresentata quasi esclusivamente dalla marmotta stessa.

 

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Eccoci dunque tornati al fischio che abbiamo appena sentito. Potrebbe essere stata segnalata la nostra presenza, oppure quella di un’aquila. La sentinella avvisa i componenti della comunità plurifamiliare a cui appartiene, le attività di nutrimento e di scavo delle nuove tane vengono interrotte e viene cercato un riparo. Facile preda a inizio luglio sono i piccoli usciti per la prima volta all’aria aperta dopo circa quaranta giorni di allattamento. Alcuni di loro verranno catturati dalle aquile, andando a nutrire i loro pulcini. Gli altri, invece, andranno in letargo ad ottobre e si riprodurranno in primavera, al sicuro nelle loro tane.

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