Il Papa nelle Filippine

«Non so perché i bambini soffrono» e altre risposte dell'altro mondo

«Non so perché i bambini soffrono» e altre risposte dell'altro mondo
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È venuta giù tanta di quell’acqua in questi giorni da sembrare che la metà gialla della bandiera vaticana fosse stata scelta in onore degli impermeabili usa e getta. O che il cielo tutto stesse piangendo un pianto liberatorio, compresso da anni. O che il Padre Eterno, commosso, avesse deciso di dar luogo a un battesimo ampio e generalizzato, capace di portarsi via tutta la sporcizia del vecchio mondo per rifarlo nuovo e splendente.

I cattolici non lo perdono mai il vizio di veder simboli ovunque. Però in questo caso sembrerebbero giustificati. Da Colombo a Manila, tra Sri Lanka e Filippine, qualcosa è realmente accaduto, che non si limita ai numeri, per altro da sballo. E non alludiamo ai sette milioni della cerimonia religiosa più grande di tutti i tempi. Alla gente che la mattina dopo ha voluto accompagnare papa Francesco all’aeroporto come quando, al momento di sparecchiare, si vorrebbero scolare ancora tutte le bottiglie e finire tutti i cioccolatini rimasti e le noccioline. Alludiamo al fatto che nessuno si sia fatto male, in quella ressa. Che nessuno abbia premuto un grilletto o abbia tirato fuori un pugnale o abbia collocato del C-4 sotto un tombino. Salvo per la ragazza uccisa dal cedimento della struttura in fase di montaggio, nessuno si è fatto male: non ci sono stati scontri di nessun genere, tutti sembravano dire: Finalmente c’è un uomo.

 

 

C’è un uomo che sembra davvero libero dal male. Nel senso in cui lo dice il Padre Nostro: non - cioè - uno che non fa il male, o che non lo ha mai fatto, o che non può essere assalito dal male. Libero dal male nel senso che non si lascia condizionare dal ricordo del male che ha fatto o che hanno fatto i suoi. Abbiamo pensato per anni che i non cristiani andassero all’inferno - che i protestanti, i buddisti e chi sa chi altro erano destinati a bruciare in eterno. E dunque? Abbiamo fatto male a pensarlo. Adesso non è più così.

Quando Christoph Schmidt ha chiesto: «Santo Padre, buongiorno. Potrebbe raccontare della sua visita al tempio buddista, ieri, che è stata una grande sorpresa. Qual è stato il motivo di una visita così spontanea? (…) Sappiamo che i missionari cristiani sono stati convinti fino al XX secolo che il buddismo fosse una truffa, una religione del diavolo». Papa Francesco ha risposto: primo, che c’era andato perché il capo del tempio buddista lo aveva invitato andandolo a prendere all’aeroporto, e lui non poteva non andarlo a trovare a casa sua; secondo che andandoci ha visto una cosa che non immaginava nemmeno che esistesse (il fatto che cristiani, buddisti, mussulmani e altri pregassero insieme ogni giorno); terzo:

Poi, l’idea che andassero all’inferno. Ma anche i protestanti... Quando ero bambino - in quel tempo, 70 anni fa - tutti i protestanti andavano all’inferno, tutti. Così ci dicevano. E ricordo la prima esperienza che ho avuto di ecumenismo. (…) Io avevo quattro o cinque anni – ma lo ricordo, lo vedo ancora – e andavo per la strada con mia nonna, mi teneva per mano. Sull’altro marciapiede venivano due donne dell’Esercito della Salvezza (…). Io ho chiesto a mia nonna: "Dimmi nonna, quelle sono suore?". E lei m’ha detto questo: "No, sono protestanti, ma sono buone". La prima volta che io ho sentito parlare bene di una persona di altra religione, di un protestante. In quel tempo, nella catechesi, ci dicevano che tutti andavano all’inferno. Ma credo che la Chiesa sia cresciuta tanto nella coscienza del rispetto - come ho detto loro nell’Incontro interreligioso, a Colombo -, nei valori. Quando leggiamo quello che ci dice il Concilio Vaticano II sui valori nelle altre religioni – il rispetto – è cresciuta tanto la Chiesa in questo. E sì, ci sono tempi oscuri nella storia della Chiesa, dobbiamo dirlo, senza vergogna, perché anche noi siamo in una strada di conversione continua: dal peccato alla grazia sempre. E questa interreligiosità come fratelli, rispettandosi sempre, è una grazia. Non so se c’era qualcosa di più che ho dimenticato… E’ tutto? Vielen danke.

Dunque: pensavamo una cosa sbagliata, però fortunatamente siamo cresciuti e adesso non è più così. Sarebbe già tanto. Ma Francesco ha detto di più: ha detto che possiamo riconoscere il nostro male passato “senza vergogna”. E  non perché adesso ne siamo finalmente fuori, ma perché siamo ancora in cammino: «in una strada di conversione continua: dal peccato alla grazia sempre. E questa interreligiosità come fratelli, rispettandosi sempre, è una grazia». La grazia non è essere esentati o preservati dall’errore, ma camminare nella conversione. Senza farci determinare - o peggio: farci rodere dentro - dal male commesso, perché quello, il male... quello non ci abbandona di sicuro. È normale, come usa dire il nostro caro Francesco.

In che senso “normale”? Lo ha detto nella risposta più attesa - almeno da chi scrive - di questi giorni. Quando una ragazza - che da noi sarebbe una bambina, ma là diventano adulte presto - gli ha chiesto perché i bambini debbano soffrire, il papa ha risposto, indicandola a tutti:

«Lei (la indica) oggi ha posto l’unica domanda che non ha una risposta e non essendo in grado di esprimerla a parole lo ha fatto con le lacrime (la bambina non ha finito la domanda: è scoppiata a piangere): perché soffrono i bambini? (e rivolto a lei:) Il fulcro della tua domanda non ha praticamente una risposta. Solo quando anche noi saremo capaci di piangere per le cose che hai detto allora saremo pronti a rispondere a questa domanda. Una grande domanda per tutti: perché soffrono i bambini? Quando il cuore è pronto ad interrogare se stesso e a piangere, allora saremo in grado di comprendere qualcosa. Esiste una compassione "mondana" che non serve a nulla. (…) Una compassione che al massimo consiste nel mettere una mano in tasca ed allungare una moneta. Se Cristo avesse avuto questo tipo di compassione, sarebbe semplicemente passato, avrebbe curato tre o quattro persone e se ne sarebbe tornato dal Padre. Solamente quando Cristo pianse e fu capace di piangere, comprese ciò che accadeva nelle nostre vite».

Non lo so. Non lo so perché i bambini debbano soffrire. Se lo avesse detto uno di noi, qualcuno avrebbe potuto pensare di poterlo chiedere a un altro che fosse meglio preparato. Ma quando è il papa a dire che questa domanda “non ha praticamente una risposta”, beh, la cosa si fa seria. Non c’è risposta al dolore innocente. Non c’è teologia che tenga. Il cristianesimo (sia lodato Iddio) non ha la risposta per tutto. Di fronte al dolore innocente non c’è altro da fare che condividerlo. “Solo quando anche noi saremo capaci di piangere per le cose che hai detto allora saremo pronti a rispondere a questa domanda”. E rispondere - badiamo - non vuol dire avere la soluzione, ma diventare capaci di comprendere. Di capire cosa sta succedendo davvero nel cuore dell’altro e, quindi, di stargli davvero accanto. Perché perfino Cristo, se avesse avuto soltanto una superficiale compassione dell’uomo, sarebbe venuto meno alla sua vocazione. Ma Cristo pianse, e solo perché fu capace di piangere fu in grado di comprendere ciò che accadeva nelle nostre vite”. Non: “di risolvere”. “Di comprendere”. Non risolse il problema, lo condivise. E la cosa più incredibile che è accaduta in questi giorni è che la gente sembra aver mostrato che proprio questo e solo questo è ciò che l’uomo desidera: non uno che risolva i problemi, ma uno che capisca l’abisso di dolore in cui siamo e, comprendendolo, ci voglia bene, stia con noi al livello del nostro dolore che sappiamo benissimo che è insanabile.

San Paolo lo aveva già detto, nella lettera agli Ebrei: «debuit per omnia fratribus assimilari ut misericors fieret», Gesù dovette proprio farsi carne della nostra carne per poterci voler bene fino in fondo. Lacrime delle nostre lacrime, verrebbe da dire. Papa Francesco, ha detto quella marea di gente, ci capisce.

 

 

Perché ci capisce. Questo è ancor più incredibile. Ci capisce perché conosce il fondo del nostro cuore. D’accordo: ma di cosa è fatto il fondo del nostro cuore? Questi giorni asiatici una cosa l’hanno detta chiaramente. Ma non l’ha detta il papa, l’ha detta la gente e il papa l’ha capita: oltre al nostro pozzo di dolore indicibile noi siamo fatti di - al fondo del nostri cuore c’è - una incredibile, irresistibile voglia di poter voler bene. Una voglia che spesso ci spinge a dar perfino la vita per gli altri. Ma ci manca una cosa, ha detto papa Francesco, in questa generosità. Lo ha detto ringraziando Ricky (Riqui, nella trascrizione spagnola) per tutto quello che lui e i suoi amici stanno facendo. Ha detto così:

Ma ti voglio fare una domanda: tu, i tuoi amici cercano di dare, dànno, dànno, dànno, aiutano , però tu, lasci che ti diano, a te? Chieditelo nel tuo cuore. Nel vangelo che abbiamo ascoltato da poco c’è una frase che secondo me è la più importante di tutte. Dice il Vangelo che Gesù guardò quel giovane e lo amò. Quando uno vede il gruppo di Riqui e dei suoi compagni, li ama molto perché fanno cose davvero buone, ma la frase più importante di Gesù è: ti manca solo una cosa. Ciascuno di noi ascolti in silenzio questa frase: Ti manca soltanto una cosa. Che cosa mi manca? A tutti coloro che credono che Gesù ama tanto coloro che danno tanto al prossimo io domando: Ma tu, lasci che gli altri ti diano quella ricchezza che tu non hai? Doveva arrivare Gesù, per lasciarsi commuovere dalla gente. I Sadducei, i dottori della legge del tempo di Gesù davan tanto alla gente: davano la legge, l’istruzione; ma non permettevamo mai alla gente di dar loro qualcosa. Doveva arrivare Gesù, per lasciarsi commuovere dalla gente. E quanti giovani come te ci sono che sono capaci di dare, ma non hanno mai imparato a ricevere.

Quante vite sono che ci aspettiamo una cosa simile - dice chi sta scrivendo - ossia che la cosa più importante da imparare è che

L’amore vero consiste nell’amare e nel lasciarsi amare. È più difficile lasciarsi amare che amare. Per questo è così difficile giungere all’amore perfetto di Dio, perché possiamo amarlo, ma la cosa decisiva è lasciarsi amare da lui. L’amore vero consiste nell’aprirsi a questo amore che precede il nostro e che in noi provoca una sorpresa.

L’amore vero, sembra con questo voler dire il papa - che ha appena parlato della capacità che hanno le donne di capire cose che gli uomini non ci arrivano per quanto facciano - l’amore vero è femminile. E qui, con tutto che sappiamo benissimo che gli articoli troppo lunghi (più lunghi di due schermate) non li legge nessuno, questo pezzo però bisogna proprio che lo mettiamo:

Ti manca solo una cosa. È questo che ci manca: imparare a mendicare da coloro ai quali diamo. Non è facile capire cosa significa Imparare a mendicare. Imparare a ricevere dall’umiltà di coloro che stiamo aiutando. Imparare a essere evangelizzati dai poveri. Le persone che aiutiamo, poveri, infermi, orfani, hanno un sacco di cose da darci. Mi faccio mendicante e chiedo anche questo? O sono perfettamente sufficiente e semplicemente dò? Tu che vivi continuando a dare e credi di non aver bisogno di nulla, ma lo sai che sei davvero un povero fatto e finito? Non lo sai che vivi nella povertà estrema e hai bisogno che qualcuno dia a te? Ti lasci aiutare dai poveri, dagli infermi e da coloro che aiuti? Questo è ciò che aiuta a maturare i giovani impegnati come Riqui nel lavoro di dare ai prossimo: imparare a tendere la mano dal fondo della propria miseria.

(Come dice la bibbia: “Perché fuggi, o mare? /e tu, Giordano, perché torni indietro? /Perché, monti, saltate come capre, / e voi, colline, come agnelli? /Trema, o terra: viene il Signore, viene il Dio di Giacobbe! / Egli cambia la roccia in fonte, /la pietra in sorgente d’acqua”. (scusate l’esultanza))

E poi aggiunge:

C’erano qui (e fa vedere i fogli del discorso, che non ha tenuto) due o tre punti che mi ero preparato. Si tratta di una sfida più alta: la sfida per la propria integrità. Amare i poveri. I nostri vescovi, durante questo anno, invitano a guardare i poveri in maniera speciale: Tu pensi ai poveri? Ti senti in consonanza coi poveri? Fai qualcosa per i poveri? Ma tu (e qui cambia tono di colpo) Ma tu, chiedi mai ai poveri di darti la saggezza, la capacità di capire, che essi hanno?

Questo era quel che avrei voluto dirvi. Perdonatemi per non avervi letto quel che avevo preparato. Però c’’è una frase che mi consola almeno un po’: “La realtà è superiore all’idea (che ne abbiamo) e la realtà che voi avete messo in moto, e la realtà di voi stessi - per quello che siete - è superiore a tutte le risposte che mi ero preparato.

Lasciatevi voler bene da questo povero che sono io, è il succo del discorso. Lasciate che io vi dica, in nome di Gesù Cristo, che siete più grandi di voi stessi. E perché questo fatto sia così importante papa Francesco lo ha detto con una parabola che basterebbe da sola a rovesciare il mondo, se la lasciassimo agire dentro di noi. Si trova nel discorso alle famiglie nel Mall of Asia Arena e parla di san Giuseppe che dorme. Dice il papa:

Le Scritture parlano poco di san Giuseppe e, là dove lo fanno, spesso lo troviamo mentre riposa, con un angelo che in sogno gli rivela la volontà di Dio. Nel brano evangelico che abbiamo appena ascoltato, troviamo Giuseppe che riposa non una, ma due volte. Ho bisogno di riposare nel Signore con le famiglie e ricordare la mia famiglia: mio padre, mia madre, mio nonno, mia nonna. Questa sera vorrei riposare nel Signore con tutti voi e riflettere con voi sul dono della famiglia. Ma prima vorrei dire qualcosa sul sogno.

A me piace molto il fatto di sognare in una famiglia. (…) Per questo vi raccomando che la notte, quando fate l’esame di coscienza, ci sia anche questa domanda: oggi ho sognato il futuro dei miei figli? Oggi ho sognato l’amore del mio sposo, della mia sposa? Oggi ho sognato i miei genitori, i miei nonni che hanno portato avanti la storia fino a me. È tanto importante sognare. Prima di tutto, sognare in una famiglia. Non perdete questa capacità di sognare! Ed anche quante difficoltà nella vita del matrimonio si risolvono se noi teniamo uno spazio per il sogno, se noi ci fermiamo a pensare al coniuge, e sogniamo la bontà che hanno le cose buone. Per questo è molto importante recuperare l’amore attraverso il ‘progetto’ di tutti i giorni. Non cessate mai di essere sposi!

E infine l’incredibile verità che sta sotto a tutto questo. Verità nel senso che ci fa capire che papa Francesco crede davvero a quel che ha appena detto.

Vorrei anche dirvi una cosa molto personale. Amo molto San Giuseppe, perché è un uomo forte è silenzioso. Nel mio tavolo ho un’immagine di San Giuseppe che dorme. E mentre dorme si prende cura della Chiesa. Sì! Può farlo. Lo sappiamo. Quando ho un problema, una difficoltà io scrivo un foglietto e lo metto sotto San Giuseppe, perché lo sogni! Questo significa: pregate per questo problema.

D’ora in poi lo sappiamo: quando il papa ci dice “pregate per questo e quest’altro” la sola cosa che dobbiamo fare è chiedere al Signore che nel nostro sonno, cioè nel nostro sogno - dove noi siamo più noi di quanto lo siamo da svegli - ci venga a visitare di sorpresa. E che ci lasciamo voler bene da Lui al punto da non far altro che quello che ci chiede. Prender la donna che ci è data, i bambini che ci sono dati e mendicare da loro quel che ci danno, che noi non abbiamo.

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