La rivincita della lingua italiana
Ci sono lingue che si studiano per necessità e altre che si studiano per piacere, perché “suonano bene” e perché sono veicolo di una cultura di cui si è appassionati. A quanto pare, è questo il motivo per cui l’italiano è diventato la quarta lingua più studiata al mondo, secondo i dati resi noti dalla Farnesina. Al primo posto c'è l'inglese, seguito da francese e spagnolo. La lingua del parlar materno viene studiato da quasi 700 mila studenti, soprattutto di nazionalità tedesca, australiana, statunitense, egiziana e argentina. È nei programmi scolastici del Giappone e dell’Australia e viene insegnato in ben 111 paesi, dall’Afghanistan allo Zimbawe. Un forte contributo alla diffusione dell’italiano è dato anche dagli accordi internazionali tra atenei. I programmi Erasmus e simili sono un mezzo molto efficace per fare conoscere l’idioma, tanto più che sono rivolti a studenti, persone giovani che potrebbero farne uso per il proprio lavoro.
Il dato, inoltre, indica chiaramente che l'italiano può essere impiegato con profitto come risorsa economica, un vettore a costo zero in grado di portare nel nostro Paese turisti e anche, perché no, investitori. Il ministero degli Esteri, che ha subodorato le potenzialità di un programma di diffusione della lingua, intende rilanciarne e riorganizzarne lo studio. Lo strumento privilegiato sarà il web. Si pensa di creare un portale apposito per convogliare l'offerta di corsi, lezioni online e formazione a distanza per i professori. Un osservatorio permanente si occuperà di sorvegliare il regolare svolgimento del programma, registrandone numeri e accessi. A prestare man forte all’iniziativa del ministero, che per ora è solo un’ipotesi, c’è l'Indire, l'Istituto nazionale di documentazione e ricerca del ministero dell'Istruzione. Ha infatti già pronto un progetto realizzato in collaborazione con l'Accademia della Crusca. Si fa sul serio, insomma. Claudio Marazzini, presidente della suddetta Accademia, pare soddisfatto: «Finalmente ci si muove con decisione per promuovere la conoscenza della nostra lingua non soltanto come vettore culturale, ma anche economico».
I fattori che hanno incrementato lo studio della lingua del sì sono di natura culturale e riguardano l’interesse per la letteratura, l’arte e la buona cucina. Ma pare che anche Papa Francesco ci abbia messo del suo. L’abitudine di tenere le prediche quasi esclusivamente in italiano, infatti, ha guadagnato alla nostra lingua nuovi cultori. In italiano, dopo tutto, è stato pronunciato l’auspicio di una collaborazione tra le tre fedi Islam, Cristianesimo ed Ebraico, così come il discorso tenuto a Strasburgo, durante il quale il Pontefice si è augurato che l’Europa ritrovi «la sua anima buona, riscoprendo il suo patrimonio storico e la profondità delle sue radici, ritrovi quella giovinezza dello spirito che l’ha resa feconda e grande». Radici che, senza esagerare, si può dire che affondino proprio in Italia.
La creatività italiana interessa e incuriosisce non solo per la sua eredità storica, ma anche per i frutti della contemporaneità. Ciò è confermato dal numero delle traduzioni librarie. Negli Stati Uniti, i libri scritti in italiano sono al quarto posto, dopo quelli francesi, tedeschi, spagnoli. Sono seguiti, al quinto posto, dai giapponesi. Marco Polillo, presidente di Aie, Associazione Italiana Editori è entusiasta, ma con prudenza: «Si tratta di un dato storico. Alcune delle considerazioni finali dell’indagine Ice sono da condividere: mentre altri Paesi si danno da fare per gli incentivi alla traduzione, in Italia si fa ancora troppo poco. Eppure il mercato è potenzialmente molto aperto, anche perché esiste un atteggiamento di simpatia nei confronti dell’italiano e della sua valenza culturale».