Gli stranieri dell'Atalanta

Che fine ha fatto Valenciano

Che fine ha fatto Valenciano
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Il primo giorno Marcello Lippi lo prende in disparte e glielo spiega subito che cosa non va. «Sì: mi dice che lui non mi ha voluto, e il rapporto tra noi non inizia nel modo migliore». Tra stelle e bidoni, certo l'Atalanta ne ha avuti di stranieri. Nel '92 arriva a Bergamo el Bombardero, Ivan René Valenciano. Pesa cento chili, gli devono dare un abbigliamento fatto su misura, e per portarlo in Italia dalla Colombia. L'Atalanta ha sborsato più di quaranta milioni di lire. Dura cinque partite, zero gol e secchiate di fischi allungate con fiumi di insulti. L'unica rete Valenciano la segna in Coppa Italia, ma viene cancellata da un 2-0 a tavolino che al primo turno fa passare il Venezia. Si vantava di tirare i calci di rigore più forte di chiunque altro. Di recente, a 43 anni, ha garantito che lo sa fare pure oggi: «I rigori li batti ancora a 127 chilometri all'ora».

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Quel soprannome, "Cicciobello". Di peggio a Bergamo soltanto il soprannome: Cicciobello. Mangia troppo (dicono), è lento (e si vede), tatticamente acerbo, e sarebbe il meno se Valenciano avesse una volontà di ferro. Invece no. Alle Olimpiadi di Barcellona, già tesserato per l'Atalanta, alla prima partita contro la Spagna Valenciano si fa espellere. I guai cominciano lì, i dirigenti nerazzurri fiutano la cosa, e infatti poi sarà tutto un precipitare. Lippi non lo vuole, il pubblico lo fischia, e a gennaio le poche cose che si è portato dalla Colombia sono già impacchettate e rispedite via mare. Messico, Argentina, di nuovo Colombia (casa sua): Valenciano in carriera ha vestito la maglia di 15 club. È andata sempre male? No, in patria è considerato uno dei più grandi attaccanti di sempre: ha segnato 217 gol. Ha giocato i Mondiali americani nel '94, e addirittura Diego Armando Maradona un paio di mesi fa lo ha chiamato per la partita della Pace che hanno giocato a Bogotà.

 

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Dal calcio al basket. Ha raccontato che gli sarebbe piaciuto giocare a basket, «era quello che volevo: avere quel tipo di carriera. Ma il calcio mi ha dato tutto e io continuo a dare». Valenciano pesava davvero 98 chili, oggi non è più di 75. Dal calcio agonistico si è ritirato nel 2009. In mezzo: depressione, panchine, suggestioni sudamericane. Nel 2002 finisce pure in galera per una vecchia storia (una ragazza investita con l'auto nel '97) e quelli del Real Cartagena (la squadra in cui gioca in quegli anni) fanno una colletta (80 milioni di pesos, 30mila euro) per pagare la cauzione e tirarlo fuori. Ma soprattutto Valenciano beve. Ha detto: «Tutti pensano che sono un tossicodipendente, ma i miei unici vizi erano alcool e donne. E le pillole: quando ho lasciato il calcio ho iniziato a soffrire di insonnia. È stato molto strano, perché mi sentivo strano senza uno stadio pieno. Improvvisamente ero lontano da tutto e non riuscivo a dormire».

In campo ubriaco. Una volta, racconta, per il suo 37esimo compleanno organizza una festa, di quelle indimenticabili. Il sabato Valenciano fa partire una rumba che quasi lo lascia privo di sensi. Il giorno dopo l'Alianza Petrolera, la squadra di Barrancabermeja che gioca in seconda divisione, se la deve vedere contro il Valledupar. Valenciano è ancora ciuco, quando si alza. «Che importa?», pensa, e va direttamente allo stadio per la panchina. «Sei ubriaco!», «Ciccione!», grida la folla vedendolo. Anche se ha i liquori che annacquano il cervello, l'allenatore gli dice che deve giocare, la squadra perde. «Sono pronto», dice lui. Alla fine Valenciano segna due gol e la sua squadra vince 2-1. Adesso allena nelle scuole calcio di Barranquilla e Bogotà. Ai bambini dice: «La cosa da capire è che non si può essere un professionista del fùtbol se non sei un professionista della vita. Ed è lo studio la cosa che vi aiuterà di più, perché il calcio spesso è una questione di fortuna. Pura casualità».

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