Undici anni fa moriva don Giussani

Come è cambiata Cl

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Undici anni senza don Luigi Giussani. Era il 22 febbraio 2005 quando il grande prete da cui era nata una delle esperienze più significative del cattolicesimo contemporaneo, il movimento di Comunione e liberazione, lasciava la scena del mondo. Inevitabile che una presenza così umanamente intensa, punto di riferimento per migliaia di giovani, lasciasse un vuoto enorme. Impossibile da colmare. Lui era stato il primo ad esserne consapevole, pur nella coscienza sempre riaffermata di non essere affatto un leader carismatico ma di essere un “tramite”: il “tramite” di un disegno del Signore. Era uomo, prima che prete, capace di esercitare un fascino straordinario, di mettere in azione energie positive, di stimolare a costruire opere capaci di declinare solidarietà e modernità.

 

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Difficile quindi pensare di coprire il buco lasciato da una presenza così. Lui stesso elaborò l’exit strategy, con una scelta attorno alla quale saggiamente iniziò a creare familiarità prima ancora di morire. Scelse un sacerdote spagnolo, don Juliàn Carron, che aveva nel profilo umano qualcosa di antitetico al prototipo ciellino: personaggio calmo, molto umile, capace di ascolto, sempre defilato da ogni tentazione di protagonismo. Insomma un leader che non ama le prove di forza, che non cerca lo scontro per emergere. Per il movimento, soprattutto per l'ala italiana, si era trattato di un passaggio un po’ traumatico, accompagnato anche da un cambio di leadership nella parte laica. Un passaggio che ha comportato ad esempio un distacco molto netto da quel protagonismo politico che aveva caratterizzato Cl negli anni della grande crescita. Carròn ha guidato una lenta opera di ritorno ad un’originaria semplicità di presenza, segnata più da un’umile azione dal basso che non dal protagonismo polemico o meno di scelte di schieramento.

 

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Dopo undici anni Cl è cambiata. È cambiata non senza travagli e non senza perdere pezzi per strada. Ma è coraggiosamente cambiata grazie all’azione decisa ma mai teatrale di questo leader “non leader”  che è Juliàn Carron. Certo, una spinta decisiva in questa transizione è venuta da papa Bergoglio. Il 7 marzo di un anno fa Cl aveva riempito piazza San Pietro per la prima udienza con il pontefice argentino: un uomo che ha letto e amato Giussani e che negli anni da cardinale, ogni volta che veniva a Roma, frequentava una delle persone spiritualmente più vicine al sacerdote brianzolo, don Giacomo Tantardini.

 

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Ebbene in quel 7 marzo di un anno fa avvenne un qualcosa di imprevisto: Bergoglio invece di concedersi a comode sottolineature elogiative, fece un discorso da vero padre, per stimolare Cl a tornare ad essere pienamente se stessa, tornando a quella originaria capacità di incontro con tutti ed evitando in particolare il rischio di “autoreferenzialità”. Quel discorso è stato una sorta di bussola per il cammino che don Carròn ha imboccato in questo ultimo anno. Un cammino che ha aperto il movimento al dialogo e che lo ha sottratto dalla logica dello scontro come fattore identitario. Ultimo episodio in ordine di tempo, la scelta di lasciar liberi i propri aderenti circa la partecipazione al family day, senza schierare ufficialmente il movimento. Una scelta all’insegna della libertà di coscienza.

Una scelta che soprattutto è servita a  ribadire come la ragion d’essere di un movimento come Cl non sia quella di schierarsi e di trincerarsi nel recinto dei giusti ma sia quella di aprire i mille recinti del mondo alla presenza di Cristo. I segni si vedono, piccoli, non clamorosi: una semplicità nuova e un desiderio di presenza costruttiva, senza pretese né di egemonie né di cambiare la storia. Che quello, come insegnava don Giussani, è compito di un Altro.

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Citta' del Vaticano 07/03/2015, udienza del papa al Movimento di Comunione e Liberazione. Nella foto papa Francesco e Julian Carron, presidente di CL

Roma 30/5/98 Incontro del Papa con i movimenti
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