«gioco sempre a carte a casa sua»

Demba e Gaetano, quasi amici E altre belle storie ad Albino

Demba e Gaetano, quasi amici E altre belle storie ad Albino
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Una piccola antologia di esistenze. Una pubblicazione che raccoglie con delicatezza e a bassa voce testimonianze di vita vissuta. Curato da Alessandra Pozzi, presidente dell’Associazione culturale Diaforà di Albino, in collaborazione con il cooperatore sociale Paolo Scanzi, All’uomo che coltiva il giardino è un libro che restituisce le storie di cinque giovani migranti - Ali Diarra, Marie Anicet Eyenga Nkou, Demba Kanteh, Demba Simaga, Mor Ndiaye - venuti in Italia e ospitati dalla cooperativa sociale La Fenice secondo i programmi previsti dallo Stato italiano. Storie dell’Africa, racconti nati tra l’inverno e la primavera del 2018 nel corso di un laboratorio di scrittura autobiografica e consegnati al lettore in una pubblicazione che è stata presentata al pubblico a Bergamo nell’ambito della 60ª Fiera dei librai. «Le testimonianze raccolte in questo libro - afferma Alessandra Pozzi - raccontano modi di vivere e mondi “altri”, molto lontani da noi, differenti e perciò complicati da decifrare e capire. Raccontano frammenti di vita vissuta, storie che non vogliamo avere la presunzione di comprendere, ma che crediamo siano capaci ancora di toccarci. L’esperienza della scrittura non è solo questione di testimonianza ma, soprattutto, esercizio di un ordine mentale. Un abisso separa i nostri orizzonti culturali e, mi convinco sempre più, nasce da un’alfabetizzazione che diamo per scontata e che rappresenta un’assoluta novità per chi arriva nel nostro mondo. Quello che passa da loro a noi non può non essere una risorsa per tutti. All’uomo che coltiva il giardino vuole essere un omaggio, doveroso, alla ricchezza dell’incontro con la differenza».

«Aver accompagnato questi giovani durante gli incontri di scrittura autobiografica - commenta Paolo Scanzi - mi ha permesso di sperimentare un modo del tutto nuovo di relazionarmi con loro: eravamo persone che si raccontano e si ascoltano, ma soprattutto che avevano il compito di mettere per iscritto le loro storie. E qui è venuto il difficile perché mi sono accorto che proprio questo era il nodo: tradurre l’oralità in scrittura alfabetica. Al di là di questa osservazione, resta il valore delle diverse testimonianze che mostrano le grandi speranze di questi ragazzi, la voglia di cambiare la propria vita, la forza con cui hanno affrontato e stanno affrontando gli ostacoli che incontrano».

 

 

Guardare l’altro negli occhi. Ad accompagnare ogni storia contenuta in questo libro c’è un volto, uno sguardo. E niente come guardare un viso ci dà l’illusione di capire qualcosa di più di quello che sta al di là e che spesso rimane un mistero. La fotografia di Virgilio Fidanza è stata capace di mettere Ali Diarra, Marie Anicet Eyenga Nkou, Demba Kanteh, Demba Simaga e Mor Ndiaye davanti ai nostri occhi spesso non abituati all’incontro con quello che non capiamo. «Durante questa esperienza ho lasciato che ogni persona fosse libera di esprimere la propria immagine di sé - afferma Virgilio Fidanza -, non ho voluto caricare di significato il soggetto. Ognuno ha assunto un proprio atteggiamento, non c’è stata alcuna messa in posa. Ho voluto invece dare risalto e rilievo agli occhi, agli sguardi. Attraverso la messa in immagine degli occhi il soggetto rappresentato assume una valenza più simbolica, più universale. Una valenza che rende l’immagine più incisiva. Niente come lo sguardo è capace di sviluppare empatia, di comunicare in modo diretto, di aprire alla relazione».

A margine di una storia. Da queste esperienze sono nate anche amicizie, in particolare parliamo di una, quella tra un allora richiedente asilo, Demba Simaga, e un volontario di Albino, Gaetano Pezzoli. Demba Simaga, 24enne, originario della Repubblica Centrafricana (nazione in guerra dove ha perso molte persone care), da quasi tre anni in Italia, è uscito dal progetto richiedenti asilo a settembre 2018 avendo ottenuto un permesso di soggiorno per asilo politico da parte della Commissione Territoriale di Brescia/Bergamo per la protezione internazionale ed è entrato nello Sprar (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati); dopo un periodo di circa sei mesi vissuto all’interno della struttura Casa Amadei a Bergamo, ora vive in un appartamento. È in cerca di lavoro e sta frequentando il terzo anno presso l’Enaip di Dalmine del corso per Elettricista. Ha conseguito la Patente B per guidare autoveicoli.

 

[Gaetano Pezzoli]

 

Gaetano Pezzoli è stato per tanti anni bibliotecario alla Biblioteca di Albino. Il suo prezioso e innovativo lavoro ha portato, dagli anni ’80, la biblioteca a livelli di eccellenza assoluta. L’intuizione di Pezzoli e dei suoi collaboratori è stata quella di mettere in rete le biblioteche della provincia di Bergamo, di pensare e creare un sistema di biblioteche che dialogassero e collaborassero tra loro, aumentando così esponenzialmente le loro capacità di soddisfare un maggior numero di utenti e, nello stesso tempo, di ottimizzarne i costi di gestione. Albino e la sua biblioteca diventarono il cuore pulsante delle biblioteche bergamasche grazie a questo progetto rivoluzionario che ha fatto scuola in Italia. Il risultato è un’immensa biblioteca - formata da tante piccole, medie e grandi biblioteche - al servizio di tutti, e, per quanto riguarda quella di Albino, anche un vero e proprio centro di aggregazione intergenerazionale. Ma le sfide di Pezzoli sono continuate anche dopo il lavoro; da pensionato, per qualche anno, ha continuato a svolgere attività di volontariato presso la biblioteca, per poi dedicarsi all’associazione Anziani e Pensionati del paese di cui è presidente. Presta la sua opera nelle case di riposo della Val Seriana e, sempre in ambito di volontariato, collabora a supporto delle attività che la cooperativa La Fenice svolge nel campo dell’accoglienza ai migranti.

Il racconto di Demba. Prendendo spunto dalla pubblicazione, Demba Simaga parla di questa sua esperienza italiana: «In Italia ho incontrato Gaetano e sua moglie Annalisa, che mi aiuta sempre a fare i compiti. Adesso le mie giornate sono sempre piene: il lunedì per andare a Dalmine a una scuola professionale mi alzo alle sei, gli altri giorni faccio volontariato in una casa di riposo di Albino, poi vado alla moschea a Vertova. Tutti i pomeriggi andavo a scuola, ho superato l’esame di licenza media. Il venerdì sera vado a giocare a carte a casa di Gaetano, giochiamo a scala quaranta e vinco (quasi) sempre. L’italiano è diverso dalla mia lingua dove non ci sono differenze tra maschile e femminile. Ho avuto un rapporto un po’ complicato con la cooperativa che gestiva il mio soggiorno in Italia: da una parte ero contento, dall’altra mi pesava il dover dipendere da qualcuno a cui rendere conto dei miei spostamenti e dell’uso del mio tempo. Ho voglia di futuro: di avere un lavoro, una casa e una famiglia. Quello che mi dà fastidio degli italiani è che non capiscono che per i neri funziona allo stesso modo che per i bianchi: ce ne sono di buoni e di cattivi, e siamo tutti nati da una mamma. Perciò prima di giudicare bisogna conoscerci».

 

[Demba Simaga]

 

Le parole di Gaetano. Concludiamo con le parole di Gaetano Pezzoli che ripercorre questa sua esperienza di accompagnamento: «Oltre a Demba, seguo un gruppo di profughi, soprattutto di lingua francofona, che sono molto legati a me. Si sono instaurate bellissime relazioni che potrei chiamare di amicizia. Cerco di aiutarli per il possibile, sia portandoli a fare volontariato nella case di riposo, sia nel seguire progetti d’integrazione, anche di lavoro, come quello della sartoria di Casnigo. Questo impegno dura da tre anni e non so per quanto tempo ancora si protrarrà, le nuove leggi sono molto restrittive. Sono convinto che occorra organizzare meglio l’accoglienza, anche dal punto di vista legislativo, chiaro che non si possa aprire esattamente com’era un tempo, è necessario mettere dei paletti. Ma non sono certamente d’accordo circa quell’idea, al limite della decenza umana, di arrivare a insultare i profughi e chi li aiuta».

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