Indifferenti alla violenza

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Si ammazza per poco, si ammazza per niente. Ogni giorno, ogni ora un delitto. In casa, per strada, nei luoghi di lavoro e di divertimento. C'è qualcuno che arriva e prende a sprangate, usa acido ustionante, spara o si fa saltare in aria nel nome di un dio tutto suo, fatto solo per giustificare la propria sete di violenza e basta. E poi c'è l'esibizione gratuita di questa ondata irrefrenabile di violenza: è dei giorni scorsi la notizia di quel motociclista che ha deliberatamente investito un pedone filmando il fatto mentre accadeva. Roba da manicomio criminale, altro che storie. Perché ormai la follia sembra aver messo comoda e stabile dimora nella mente di un numero sempre più alto di persone esaltate al solo pensiero di mettersi in mostra, di essere protagonisti di un mondo che invece di reprimere e castigare severamente certi comportamenti sembra tollerarli nella generale indifferenza.

Ed è proprio in questa terribile insidia che siamo ormai caduti: essere indifferenti è conseguenza di una “scuola” che viene da lontano: dallo stesso momento in cui le immagini più cruente e crudeli hanno giorno dopo giorno attraversato gli schermi televisivi e poi quelli dei computer irrompendo in certe teste già fragili sotto forma di videogame e di discutibili realtà virtuali. In una società come la nostra in cui l'analfabetismo di ritorno è in crescita, almeno quanto la presunzione dei “minus habens” convinti di essere “nati imparati”, si arrivano a confondere liberamente fantasia e realtà. Quando da ragazzi andavamo al cinema a vedere James Bond sapevamo molto bene che stavamo assistendo a un film per definizione iperbolico dove tutto era finto e irreale. Adesso nell'epoca dell'esaltazione dell'immaginifico pronto ad affermarsi su ogni contenuto non riesce quasi più a sorprenderci, e questo è la cosa più grave, che un cretino fatto e finito riprenda le sue prodi gesta e poi le renda pubbliche sui social. Con un pubblico degno di lui che lo condivide.

Mi dispiace dirlo: i genitori troppo sindacalisti dei figli e troppo spesso pronti a crocifiggere gli insegnanti hanno peccato di sane sberle nei confronti di questo genere di prole. Purtroppo temo che il danno sia fatto. Quis custodies custodes? Affermava Cicerone: chi dovrà custodire i custodi… Sì, perché i genitori di oggi probabilmente pur non condividendo formalmente certi atteggiamenti, in qualche misura li hanno permessi e arrivano perfino a giustificarli. Credo che stia qui la corruzione di una società, allorché la visione delle cose è talmente alterata da storpiarne la prospettiva.

Ricordo un film che mi permetto di raccomandare, era degli anni sessanta: “L'uomo che visse nel futuro”. Si  raccontava di uno scienziato che andandosene a spasso nel tempo su di un trabiccolo da lui inventato si ritrova in un'epoca futura dove una ragazza annegava in un fiume mentre i suoi compagni mangiavano e ridevano allegramente nella generale, ebete indifferenza. Credo che la spiegazione ce la fornisca lo stesso regista quando mostra le immagini di quella società senza più cultura, dove nessuno sapeva cosa fosse un libro. Per metaforico eccesso stilistico viene inquadrata una stupenda e antica biblioteca piena di volumi solenni che però al tocco si disfanno riducendosi in polvere.

Non dubito che Herbert George Wells, autore del  libro poi divenuto film,  avesse qualità profetiche. La cosa più ridicola e agghiacciante è quale virtuale contraltare a forme violenza tanto più insopportabili in quanto ispirate dalla imbecillità pura, si abusino di espressioni retoriche e alquanto vuote come “allargamento della coscienza” “consapevolezza” “amicizia” “rispetto”.  Temo siano le due facce di una identica volgarità del nostro “easy time”. Come diceva l'immenso Canetti tutte le parole hanno un peso e vanno usate con estrema responsabilità. Perciò dato che in un tempo non lontanissimo alludevano a concetti precisi dai contenuti definiti, un po' di sano pudore sarebbe auspicabile.

Una considerazione che  ci riporta dritti in quella palestra di scempiaggini che sono i social in cui anche chi dovrebbe tacere si esprime senza avere la minima misura di sé né del proprio grado di istruzione per farlo. Amicizia: l'Etica Nicomachea di Aristotele racconta che gli amici “sono due che vanno”, non uno stuolo di conoscenti neppure mai visti davvero. Due amici che condividono le storie in comune di una vita intera. Il rispetto: non ha a che fare con codici alla Rambo dove ci si fa rispettare a cazzottti. No: il rispetto è una cosa più complessa ed è legato alla stima, ai valori, al significato che ha una persona. Coscienza, consapevolezza... ma se si sbagliano verbi, aggettivi, si mettono accenti a vanvera, come si fa a scomodare materiale di interiore costruzione così delicato, con tanta leggerezza!?... Prima imparare a camminare, quindi provare a correre.

Me lo insegnava mia nonna. Ma io, è palese, vengo da un mondo che non esiste più.

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