Si occupa di ricerca e sviluppo

Le curve della vita di Marco Tortora che da Curno è arrivato in... MotoGP

Le curve della vita di Marco Tortora che da Curno è arrivato in... MotoGP
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Le moto sono da sempre il sogno proibito dei ragazzini. Guidarle, aggiustarle e migliorarle è spesso in cima alla lista dei loro desideri. Quanti di loro poi riescano a realizzare questo sogno è un altro discorso. Ma uno su mille ce la fa. Questa è la storia dell’ingegnere Marco Tortora, classe 1985, che oggi vive e lavora a Salisburgo.

 

 

Partiamo dall’inizio...
«Sono arrivato a Curno da Mariano di Dalmine a 13 anni, facevo la terza media. I miei genitori abitano tuttora lì, mentre io ho lascito il paese a 25 anni, dopo aver frequentato prima il liceo scientifico Lussana, e dopo essermi laureato alla facoltà di Ingegneria Meccanica all’Università di Dalmine».

Ci racconti un po’ i suoi trascorsi.
«Sono sempre stato interessato ai motori, erano il mio chiodo fisso. Sono partito dal motorino, poi ho avuto la moto da cross e la moto da strada. Mi sono sempre divertito sia a guidarle che a smontarle. Nel mio piccolo, se c’era qualcosa da fare, mi mettevo lì con due chiavettine e cercavo di intervenire».

È questo il motivo per cui ha orientato i suoi studi in quella direzione?
«Direi proprio di sì. La facoltà di Ingegneria è stata il mio lasciapassare al Master di secondo livello in Ingegneria del Veicolo dell’Università “Enzo Ferrari” di Modena. E quella è stata la mia rampa di lancio, quella che mi ha permesso di specializzarmi in un settore molto chiuso. La mia prima esperienza è stata a Graz, in Austria, dove ho avuto a che fare per la prima volta con la calibrazione motore auto. Da lì mi sono spostato poi a Salisburgo, in Ktm, ma è stato il master quello che mi ha introdotto nell’ambiente grazie al tirocinio, spalancandomi tutte le porte».

Ci spiega in modo semplice in cosa consiste il suo lavoro?
«Mi occupo di ricerca e sviluppo della MotoGP per la Ktm, il che vuol dire che mi occupo della moto ma non la guido in pista. La testo, sviluppo e verifico tutto ciò che sta attorno ai nuovi componenti partendo dal motore, passando a tutta la parte sensoristica e a qualsiasi altra sua componente, come le ruote, il telaio, il forcellone e la centralina. Tutti elementi che vanno collaudati, calibrati e testati prima in casa. Abbiamo dei banchi a rulli dove la moto viene posizionata e dove si può simulare la guida, perché i rulli permettono alla ruota di girare come in strada. In questo modo posso verificare e sperimentare tutto ciò che c’è da fare. Io sono specializzato come calibratore di motore e le mie competenze specifiche riguardano quindi mappatura, calibrazione e quant’altro, ma testo anche le altre parti».

Insomma, il sogno di tutti i ragazzi. Che consigli si sente di dare a coloro che vogliono tentare questa strada?
«Una cosa che mi sento di consigliare a cuore aperto è quella di spostarsi, di non fossilizzarsi, di non aver paura a lasciare la famiglia e di non farsi spaventare dalle lingue. La paura delle lingue è una cosa che lascia un po’ perplessi nel 2018, serve una maggior apertura mentale perché poi si imparano. Io ho imparato il tedesco a trent’anni e lo parlo ogni giorno fluentemente, nonostante a scuola non l’abbia mai studiato. L’ho imparato sul campo, quando ti ritrovi dentro le situazioni lo impari per forza. Sicuramente gli studi sono importanti, ma ci sono talmente tante occasioni da cogliere che lo studio passa un po’ in secondo piano. Lo studio ti dà la base, ti apre delle porte, è fondamentale per avere certe nozioni ma da solo non basta, rimane fine a se stesso. Io ho conosciuto persone che hanno perso dei treni meravigliosi per non voler andar via da casa o perché erano spaventati dall’estero. Questo secondo me è un limite. Bisogna lanciarsi senza paura, se poi va male si ritorna a casa. Quando sono arrivato a Modena, la mia prima esperienza fuori casa, ero abbastanza schizzinoso e ho ricevuto la mia prima botta, ritrovandomi nel tipico appartamento studentesco. Ma lì ho imparato ad adattarmi e a superare alcuni dogmi, ad avere a che fare con persone diverse e ad arrangiarmi da solo».

 

 

E poi all’estero?
«Il tutto è stato enfatizzato dalla lingua e dalla cultura diversa. Io stesso all’inizio non è che parlassi un grande inglese, l’avevo solo studiato a scuola, ma non era un inglese di livello. L’azienda di Graz era molto internazionale e lì la lingua base era quella. Vivendo poi in un posto dove si parla il tedesco, alla fine ho imparato anche quello».

Quindi quale è stato il motore propulsore di tutto questo?
«La cosa principale che mi ha spinto fin qua, più che la bravura o l’intelligenza, è la motivazione, il fatto di avere un obiettivo ben chiaro. È la determinazione che muove il mondo. Pur non piacendomi moltissimo studiare mi sono iscritto all’università, suscitando molto scetticismo. Alla fine mi sono laureato in corso lasciando tutti di stucco. Non è stata una passeggiata, ma ora sono qua e sto facendo quello che ho sempre desiderato. Certo, bisogna fare dei sacrifici. Ho avuto anche qualche porta in faccia. All’inizio provai ad andare in Ducati e non mi presero, anche dopo il Master, perché loro volevano il 110 e Lode. Il Master aveva diverse aziende come sponsor presso le quali poter fare il tirocinio, e si potevano esprimere delle preferenze. La mia era la Ducati, che mi disse di no. Mi prese lo sconforto. Poi arrivai a Graz, che era la mia seconda scelta. Mi sono dovuto adattare, era bello ma non era proprio quello che avrei voluto fare. Ho preso quello che mi veniva proposto, non felicissimo, con l’intenzione di riprovarci, perché io volevo andare in Ducati!».

E come è finito poi in Ktm?
«Non mi sono dato per vinto e ho continuato a cercare altre possibilità di lavoro nel campo delle moto. Fino a quando ho trovato l’annuncio della Ktm che era alla ricerca di un calibratore per ricerca e sviluppo di moto stradali. Ho mandato subito il curriculum e dopo una settimana ho fatto il primo colloquio. Poi un secondo e mi hanno preso. La casa che avevo da poco comprato e restaurato a Graz l’ho messa in affitto e mi sono trasferito con mia moglie a Salisburgo. Ero lì in Ktm, nelle moto, ma non ero ancora pienamente soddisfatto, perché il mio obiettivo era la MotoGP. Volevo arrivare ai massimi livelli. Ho saputo che nell’azienda cercavano persone per la MotoGP che facessero i test e la calibrazione. Così mi sono proposto. Ho fatto un’intervista con otto persone che mi facevano domande a più non posso, il colloquio è andato bene e così ho potuto fare il salto».

Ma la Ducati rimane sempre il suo pallino?
«Per il momento no, poi in futuro si vedrà. Ma è chiaro che, dovesse succedere, bisogna entrare dal portone principale, altrimenti non si va da nessuna parte. Lavori secondari o compromessi con stipendi inferiori al mio attuale non mi interessano più. Sono già arrivato dove volevo arrivare. Da qui mi sposto per fare un passo in avanti. Indietro non si torna».

Articolo pubblicato sul BergamoPost cartaceo del 7 settembre 2018

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