La storia di Sant'Alessandro

Le opere dedicate a Santa Grata che si trovano in giro per la città

Le opere dedicate a Santa Grata che si trovano in giro per la città
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Santa Grata, compatrona con Sant’Alessandro di Bergamo (un po’ come Francesco e Chiara per Assisi, via), è una figura da sempre messa un pochino in ombra dal nostro beniamino, che ci apprestiamo a festeggiare! Nonostante a lei si debbano il trasporto del corpo inerte e acefalo di Alessandro in Bergamo Alta tra varie peripezie, la sua sepoltura, la costruzione della sua Basilica, rovinosamente demolita l’1 agosto 1561, e tanto altro ancora, la si ricorda forse solo all’intitolazione delle due chiese e del monastero cittadino, collocati tra via Borgo Canale e Arena e denominate, proprio per non confonderle una con l’altra, Santa Grata inter vites (letteralmente dentro le viti) e Santa Grata in columnellis (letteralmente alle colonnette).

Da questo oblio gli artisti bergamaschi, tra Cinquecento e Ottocento, l’hanno un poco risollevata, vuoi per la ricchezza dei suoi abiti o per la delicatezza dei suoi modi, dato che quando la si raffigura con tra le braccia il capo reciso del martire, pare cinga non un macabro resto mortale grondante orribilmente di sangue, piuttosto un bimbo in fasce o un qualcosa di tenero e fragile.

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Affreschi e statue. Ma non solo, complici sono state anche alcune piccole varianti alla sua agiografia o alla sua canonica rappresentazione. Ad esempio: nell’episodio che vede Grata raccogliere da terra il capo appena spiccato di Alessandro e che la tradizione vuole subito portato per la sepoltura sul colle, non si indugia mai sul rapporto post mortem instauratosi tra i due, come ad esempio avviene durante la venerazione della testa del martire su di un’ara (il ricamo del cappuccio di un piviale del Duomo di Bergamo - immagine non reperita) o anche in solitaria ed estatica contemplazione (affresco esterno al convento di Santa Grata in Via Arena a Bergamo di anonimo), così come la presentazione del capo di Alessandro alla Vergine in presenza di San Benedetto (affresco esterno al convento di Santa Grata in Via Arena a Bergamo della bottega degli Orelli).

O ancora, se volessimo sbizzarrirci, andiamo a scovare Grata in una delle tre statue marmoree del timpano secentesco il portale della chiesa di Via Arena o in altre suppellettili e statue delle monache e ancora negli stucchi di Angelo Orelli, che interessano l'ancona che incornicia l'urna della santa e sopra la finestra del coro, dove Grata regge una città turrita e in questo modo ricorda la condivisione con Alessandro del patronato della città (immagini mancanti). Lo stesso spirito protettivo lo si legge, tra le righe, nella pala di Enea Salmeggia per l’altare principale della chiesa monastica, realizzata e donata in qualità di dote per la figlia, che vestì l’abito benedettino (immagine mancante).

 

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Le pale nelle chiese di città. Interessanti paiono i quadri a più tempi od episodi, ovvero dipinti che non solo rappresentano schiettamente le fasi della sepoltura del martire bergamasco d’adizione, come ad esempio avviene nella Parrocchiale di Sant’Alessandro della Croce, con la pala di Fabio Ronzelli del 1629, ma addirittura riescono a riassumere più episodi in contemporanea e adeguati ai vari target.

Ammiriamo quindi la pala di Giovanni Paolo Cavagna del 1620 nella Basilica di Sant’Alessandro in Colonna in Borgo San Leonardo, dove si distinguono chiaramente a sinistra la colonna della decapitazione, a destra il corpo del martire inerte sollevato e pronto per essere trasportato alla sepoltura tramite la Porta del Mattume nell’attuale Via Sant’Alessandro (o forse attraverso quella di Sant’Agostino per il cambio improvviso dell’itinerario), al centro Grata che pare cullarne il capo e a terra l’ancella, che raccoglie i fiori sbocciati miracolosamente dal collo del santo al posto del sangue. Il tono è molto aulico, grazie alle vesti ai volti ed alle architetture che coronano le scene, riferite sicuramente alla committenza dell’epoca, ma ne esiste anche un’altra versione, più mesta e popolare, eppure altrettanto incisivo e riassuntivo degli stessi episodi visti in precedenza.

E poi c'è la pala di Antonio Cifrondi del 1698, posta nella Parrocchiale di Sant’Alessandro della Croce, dove di nuovo rinveniamo decapitazione, raccolta dei mazzi di fiori ad opera di contadinelle e sepoltura del martire, anche se a dire il vero pare più un Cristo che un semplice legionario romano. Ma la disposizione a croce della salma e il suo volteggiare nell’aria, facendosi strada tra la folla, all’epoca bastava per sostenere e fomentare ancora di più il mito di Sant’Alessandro di Bergamo.

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