Tre medaglie per l'Italia

Martina, Valeria, Daniele e la dannata fatica di vincere

Martina, Valeria, Daniele e la dannata fatica di vincere
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Ci hanno sempre raccontato che l'Italia è il posto dove nascono gli artisti, che questo è il Paese degli improvvisatori, dei cialtroni da competizione, il paese della gente che per sbarcare il lunario gli basta un guizzo, un'idea, e oplà: una roba da ridere. Invece no. Ed è lo sport, come spesso succede, a indicare la strada. L'ultima è stata la settimana della fatica. Martina Grimaldi ha nuotato più di cinque ore, e alla fine ha vinto la medaglia d'oro nella venticinque chilometri di fondo agli Europei di Berlino. Daniele Meucci e Valeria Straneo hanno conquistato una medaglia nella maratona agli Europei di Zurigo (lui d'oro, lei d'argento) e per farlo hanno corso più di due ore. La loro è un'Italia diversa, fatta di sudore e di fatica, non solo di passione e di genialità, ed è quella che in questi tempi difficili è più bella da raccontare.

Martina è di Bologna e farà venticinque anni a settembre. Si allena nove, anche dodici volte alla settimana, e in pratica vuol dire che arriva a fare bracciate per quasi cento chilometri. Lei è una campionessa di fondo, che del nuoto è la specialità più faticosa perché bisogna stare in acqua ore e ore, per cinque, dieci, anche venticinque chilometri, e bisogna rifocillarsi in gara, stare attenti alle meduse, restare concentrati perché con l'acqua non si scherza mica, e serve una resistenza non comune e la pazienza è ben più di una virtù. Lei e il suo allenatore, Fabio Cuzzani, una volta hanno fatto un calcolo: è venuto fuori che ogni anno Martina nuota quasi quattromila chilometri. «Prima o poi dovrò fare il tagliando, come le auto» ci scherza su lei, che ormai ci è abituata. Ma per noi è qualcosa di straordinario. Quando nuota, nella testa fa partire una play-list di canzoni. Una volta, all'Europeo di Barcellona, si è ritrovata a canticchiarne una di Rihanna una decina di volte. Si sveglia prima delle 7, va in piscina e ci sta fino alle 10.30, e così fa nel pomeriggio per almeno altre due ore e mezza. Due, tre volte alla settimana va anche in palestra. Non è un caso che sia una donna a sopportare il peso di una fatica così grande.

Un'altra è Valeria, mamma, laureata in lingue e letteratura, e affetta da una disfunzione genetica della membrana dei globuli rossi, la sferocitosi. Qualche anno fa stava talmente male, si sentiva così stanca che credeva di impazzire. Allora il marito l'ha costretta ad andare di filato al pronto soccorso, e quel giorno Valeria ha scoperto di essere ammalata. La milza le si era talmente ingrossata che a un certo punto i medici hanno deciso di asportarla: aveva quasi le dimensioni di un neonato, quando l'hanno tolta. Ci sono cose che possono farti perdere la forza di vivere. Oppure farti capire che vale la pena farlo. Farlo davvero. Valeria non si è mai persa d'animo, e dopo cinque mesi ha ripreso a correre. Oggi è tornata ad allenarsi con costanza. Lo fa insieme a Beatrice Brossa, la sua trainer di sempre. Lo fa tredici volte alla settimana, ha una tabella piuttosto rigida da rispettare, ma probabilmente è ben poca cosa rispetto a quando era bambina e giocava all'aria aperta con gli amici, in cortile o in campagna: correva tutto il giorno.

In Italia abbiamo avuto geni come Roberto Baggio o Alberto Tomba, lampi luminosi che hanno acceso la nostra passione per pochi secondi, interi anni. Ma più spesso abbiamo avuto faticatori immensi. Abbiamo avuto Bartali, Pantani, Mennea, l'ultimo della lista è Nibali. Ma ce ne sono tanti, tutti quelli che il talento lo mettono al servizio del sudore. Lo ha fatto anche Daniele Meucci, pisano, un altro stacanovista dello sport, che a ventotto anni ha già due figli e una laurea in ingegneria robotica ed è capace di correre come un airone nel vento. Leggero. Deciso. Prima di passare alla maratona vinceva nei diecimila metri, ma per farlo si allenava tutto il giorno, senza smettere mai di credere nei sogni, e che i sogni sono davvero al traguardo di qualcosa: serve solo una strada da percorrere per poterci arrivare.

Così, mentre la cultura della scorciatoia irrompe sullo schermo della vita quotidiana, ecco sbucare da dietro l'angolo il caro vecchio sacrificio. Ancora lì, a dirci che è più bello mettercela tutta. È stato detto che il genio è un per cento ispirazione e novantanove per cento sudore. Sono loro, sono questi illustri faticatori la perfetta metafora del nostro piccolo, grande Paese. Che vorrebbe, e potrebbe pure. Basterebbe metterci la giusta abnegazione.

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