Un racconto in prima persona

Trent'anni dopo Malines-Atalanta Mille km in Fiat Uno e un incontro

Trent'anni dopo Malines-Atalanta Mille km in Fiat Uno e un incontro
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Eravamo sulla rotatoria della tangenziale di Bruxelles e non sapevamo bene che direzione prendere. L’orologio del cruscotto indicava le cinque e mezza del pomeriggio e brillava un bel sole. Viaggiavamo lenti sulla corsia con la nostra Fiat Uno (rossa) quando ci si accostò un’Alfasud.

Verso Mechelen. A bordo c’erano un uomo e una donna, più giovane di lui. Avevano abbassato il finestrino, dicevano qualcosa, volevano parlarci. Mio fratello sul sedile del passeggero abbassò pure il finestrino. L’uomo era di mezza età, i capelli grigi, magro. Disse in italiano con accento un po’ francese e un po’ meridionale: «Siete italiani? Siete qui per la partita?». «Sì, sì certo. Perché?». «Sapete dove andare?». «Sì, a Malines, Mechelen». «Anche noi andiamo a Mechelen, ma dovete stare attenti a non confondervi con Machelen che è sulla stessa strada. Seguiteci». Mio fratello mi guardò dubbioso, disse: «Ma chi sono questi? Ma possiamo fidarci?». Mio padre, sul sedile posteriore, tergiversava. Io dissi: «Perché non dovremmo fidarci?». Mio fratello non era convinto, disse: «Ma perché ci hanno addirittura accostato? Stiamo attenti perché ci fregano». «Vediamo, dai». E così guidai la Uno rossa in coda all’Alfasud e uscimmo dalla rotatoria, ci immettemmo su una bella strada alla volta di Malines: ultimi chilometri prima della grande sfida.

 

 

Mezza Europa per la Dea. Eravamo partiti alle 6 di mattina, da Bergamo, avevamo calcolato un viaggio di dieci, undici ore. Avevamo i biglietti dello stadio, ma non avevamo prenotato alcun albergo. Al tempo, non c’era internet. Pensammo che ci saremmo arrangiati, che un posto alla fine lo avremmo scovato. Era l'aprile 1988. Sono passati trent’anni, una vita. Da Bergamo a Milano, poi Chiasso, tutta la Svizzera, Lucerna, Basilea, poi la Francia, Colmar, Strasburgo, Metz, poi il Lussemburgo e finalmente Bruxelles. Malines si trova a Nord di Bruxelles, a una trentina di chilometri. Il viaggio era filato liscio, soltanto mio padre ripeteva di essere deluso dalla mancanza di un vero autogrill e di una buona cucina italiana. Ma non era importante: quello che contava era arrivare puntuali per quella mitica serata, gara di andata, il Malines contro l’Atalanta. Dicevano che eravamo stati fortunati nel sorteggio, che poteva capitarci l’Ajax e tutti avevamo pensato che certamente era così. La storia ci contraddì clamorosamente.

 

 

Seguendo un'Alfasud. Comunque seguimmo l’Alfasud e arrivammo nella cittadina promessa, in quella pianura, e da lontano scorgemmo il campanile gotico che svettava. Una cittadina di settantamila abitanti. L’Alfasud rallentò, di nuovo ci accostò. Noi ringraziammo e sorridemmo, ma l’uomo al volante disse: «Venite con me, seguitemi, vi invito a cena nel mio ristorante». «No, grazie, dobbiamo cercare un albergo e poi c’è la partita». «Non vi preoccupate, sono venticinque anni che sto qui, l’albergo ve lo trovo io, voi seguitemi fino al ristorante». Mio fratello tra i denti disse di non fidarsi, che certamente era un imbroglio. Ma io gli dissi: «Va bene, dai. Vediamo che cosa vogliono». «Lascia stare, andiamo per i fatti nostri». «Ma no, li seguo». Mio padre pure sconsigliò, ma ormai ero nella scia dell’Alfasud. Arrivammo a una strada vicina al centro, una strada come tante, di case basse, un luogo accogliente. Ecco il ristorante, parcheggiammo, scendemmo. Il sole, il marciapiede. L’uomo e la donna si presentarono. Lui si chiamava Giuseppe, di lei non ricordo il nome, ricordo solo che era sorridente. Lei era belga, lui pugliese. Giuseppe disse: «Venite, venite, questo è il mio ristorante». Claudio, mio fratello, mi lanciò occhiatacce, mio padre non diede a parere nulla. Il ristorante era chiuso, Giuseppe bussò, una...»

 

Per leggere l’articolo completo rimandiamo a pagina 22 di Bergamopost cartaceo, in edicola fino a giovedì 26 aprile. In versione digitale, qui.

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