L'intervista

Una scelta fuori moda: il prete. Ma adesso don Andrea, 27 anni, è «l'uomo più felice del mondo»

Diplomato al Natta, sabato 29 agosto è stato ordinato sacerdote in Cattedrale

Una scelta fuori moda: il prete. Ma adesso don Andrea, 27 anni, è «l'uomo più felice del mondo»
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di Paolo Aresi

Andrea Borgonzoni abita in vicolo Bancalegno, ha 27 anni, un diploma al Natta. Quando aveva all'incirca diciannove anni, dopo la maturità, ha deciso che la sua strada era un’altra. Non era quella del perito chimico o del laureato, dello scienziato o del tecnico. E nemmeno quella di trovarsi con gli amici per l’aperitivo o di fidanzarsi o di mettere su famiglia. No. Ha deciso che la sua strada era quella del prete. E, sabato 29 agosto, è stato ordinato in Cattedrale dal vescovo Beschi, insieme a due altri giovani. Nei prossimi giorni prenderà posto nella parrocchia di Almenno San Bartolomeo, darà una mano al parroco.

Una decisione molto fuori moda, Andrea.

«Lo so, ma non è certo un problema».

Ci si domanda: che cosa ha spinto un ragazzo di vent’anni, in un mondo che non sembra esattamente correre in chiesa, a scegliere di farsi prete?

«Capisco bene la domanda. Io da bambino facevo il chierichetto in Sant’Alessandro quando parroco era don Gianluca Rota. Ricordo che mi colpiva la serietà con la quale lui celebrava le messa, capivo, in qualche modo, che qualcosa di straordinario accadeva. Poi, dopo la cresima, sui tredici anni, tanti miei compagni si sono allontanati e anch’io non sono più andato in oratorio».

Tutto normale.

«Sì, normale. Facevo il Natta, studiavo, uscivo con gli amici. Facevo tante cose, ma arrivavo a sera e mi sentivo che qualcosa mi mancava, non ero contento».

Succede spesso a quindici o sedici anni.

«Sì, certo. Ma un giorno ho incontrato il prete del mio oratorio, don Luca Testa, che non è uno di tante parole, ma è uno che c’è. Abbiamo parlato un po’, era il periodo delle vacanze di Pasqua, e lui mi ha detto: vieni con noi alla Casa Alpina di Bratto che facciamo tre giorni di campo scuola. Gli dissi di sì. Andai a Bratto e non ci fu niente di veramente speciale, ma io arrivavo a sera e mi sentivo contento, soddisfatto di me stesso. Lo ricordo benissimo, facevo la seconda superiore».

Che cosa c’era di così soddisfacente?

«Sentivo una gioia. Mi sentivo che avevo fatto qualcosa di giusto. Come posso spiegare? Avevamo pregato, io mi ero sentito vicino a Dio, a qualcosa di grande, al senso della vita».

Al senso della vita.

«Sì. Non avvertivo più il vuoto».

E quindi?

«Niente, ho continuato la mia vita normale, la scuola, gli amici. Guardavo don Luca e il parroco don Gianni Carzaniga, li ammiravo, erano uomini ed erano preti, erano vicini al Signore e alla gente. Ma continuavo in maniera normale. Poi è arrivato un periodo, circa un anno dopo, in cui mi sentivo tutto in movimento dentro, tanti pensieri, non capivo... sono tornato da don Luca, lui mi ha ascoltato, poi mi ha guardato e mi ha detto: “Guarda Andrea, credo che sia arrivato il momento che tu segua gli incontri vocazionali in Seminario”. Non me l’aspettavo, caddi dalle nuvole. Non avevo mai pensato al seminario. Ma andai. C’era don Giovanni Gusmini che faceva gli incontri per gli adolescenti. A mio papà e mia mamma non lo dissi. Qualche volta andavo e qualche volta no».

famiglia
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collaboratore alla sagra s. alessandro (2)
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collaboratore alla sagra s. alessandro (1)
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con alcuni amici (2)
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don Andrea Alere
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Sono passati dieci anni.

«Sì e sono passati otto anni da quando sono entrato in seminario. Don Davide Pelucchi una volta ci disse che questi anni, una volta trascorsi, ci sarebbero sembrati lunghi un quarto d’ora. È così. Volati via. Anni belli, a volte difficili, molto difficili, ma intesi, forti. Belli, alla fine».

Tante difficoltà?

«Certo, ma ho scoperto che bisogna capire che non si è soli, che bisogna confrontarsi, aprirsi. Che non bisogna avere paura di parlare. Che ci sono i tuoi compagni, gli altri preti, la parrocchia, i superiori. E c’è soprattutto il Signore. Ho in mente passaggi delicati dove la vicinanza di un compagno o la preghiera mi hanno spinto oltre».

Adesso sei prete. Che cosa significa?

«Essere prete significa prima di tutto essere uomo. Io ho capito che un prete è un uomo che è molto consapevole di non essere solo, perché ha Dio accanto. Io l’ho sentito, a un certo punto, ed è stato come scoprire un tesoro. E allora mi è scattata la voglia di condividerla questa scoperta, non posso tenerla nascosta».

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