Autobiografia

Le tredici vite di Domenico Bosatelli ovvero il cavaliere della certezza

Le tredici vite di Domenico Bosatelli ovvero il cavaliere della certezza
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«L’ho scritto per i ragazzi». Domenico Bosatelli l’ha sussurrato ieri mattina al preside dell’Esperia, seduto accanto a lui durante la presentazione della sua autobiografia nell’aula magna di Sant’Agostino. Il libro, intitolato Oltre le stelle, racconta, in tredici capitoli divisi per settennati, la sua avventura umana e imprenditoriale. Bosatelli è uno dei grandi capitani d’industria della Bergamasca, e di certo - se consideriamo l’età - il più coraggioso e innovativo. La sua azienda è la famosa Gewiss che ora ha prestato il nome anche allo stadio dell’Atalanta. Una storia di mille brevetti e altrettante iniziative realizzate da Bosatelli. Come Chorus Life, il pezzo di Bergamo che il cavalier Domenico si è messo in testa di realizzare come esempio di quartiere del futuro. Il rettore Remo Morzenti Pellegrini, il professore emerito della Bocconi, Roberto Ruozi e Imerio Chiappa, preside dell’Esperia, hanno parlato di Bosatelli come uomo curioso, che non si accontenta di quello che sa, ma che vuole...

 

Articolo completo alle pagine 10 e 11 di BergamoPost cartaceo, in edicola fino a giovedì 31 ottobre. In versione digitale, qui.

 

 

Presentiamo alcuni brani del libro Oltre le stelle di Domenico Bosatelli.

Era il periodo in cui la bicicletta era la protagonista della vita quotidiana. In quegli anni, gli italiani impazzivano letteralmente per il ciclismo. (...) Ero affascinato dalla meccanica con cui era realizzata la bicicletta. Partii come riparatore e, successivamente, come meccanico addetto alla costruzione dei cicli. I primi datori di lavoro furono il ciclista (nel senso di artigiano che ripara le biciclette) Ferrari di Alzano, successivamente il negozio Bonfanti a Bergamo e, infine, la fabbrica Legnago a Nembro. Imparai attraverso questi impieghi un mestiere, come si diceva allora. Il lavoro consisteva nel ristrutturare le biciclette, smontandole pezzo dopo pezzo, separando e distinguendo i componenti buoni da quelli usurati e, infine, assemblando al telaio le parti vecchie, ma ancora in buono stato, con quelle nuove. (...) Il lavoro che svolgevo con le biciclette era molto simile a quello che faceva mio padre in qualità di tecnico polivalente presso la ferrovia della Valle Seriana. Anche lui applicava il concetto di innovazione togliendo le parti usurate dei tram e sostituendole con quelle nuove e più efficienti. Fu molto gratificante, quindi, entrare nella fabbrica di biciclette Legnago. (...) L’incarico prevedeva una sorta di contratto per cui venivo pagato in base alla produzione che realizzavo. Ricordo il record personale: l’assemblaggio di 12 biciclette in 40 ore di lavoro consecutive quando normalmente per allestire una bici serviva una giornata intera. Non è che fossi un fenomeno ma, semplicemente, per realizzare quella performance da record, avevo avvicinato a me tutti i pezzi che andavano montati in modo da poterli avere velocemente a disposizione secondo la sequenza di realizzazione.

(...) A 17 anni, nel ’51, feci qualcosa di “epico”, programmando un lungo viaggio per andare a scoprire il mare. Con alcuni amici e mille lire in tasca, sufficienti giusto per comprare dieci chili di pane, partimmo da Alzano Lombardo con destinazione Sanremo. Ovviamente in bicicletta. Ad Arquata Scrivia ci fermammo presso i parenti di uno di questi amici. Facemmo onore alla loro ospitalità mangiando anche le “gambe del tavolo”, come si diceva dalle nostre parti. Riprendemmo il viaggio la mattina dopo e finalmente arrivammo alla meta: potemmo vedere il mare. (...)

 

Articolo completo alle pagine 10 e 11 di BergamoPost cartaceo, in edicola fino a giovedì 31 ottobre. In versione digitale, qui.

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