Al Pacino mon amour
Al Pacino da oggi ha 75 anni, due film in uscita e «nessuna intenzione di fermarsi, finché c’è la passione». Dacché stamattina sentivo il bisogno assoluto di non perdere l’occasione per parlare di lui, ho chiesto aiuto ad un’amica: «Che scrivo di Al Pacino, da dove comincio, come faccio». «Che je vuoi di’ di Pacino, più che mettergli quattro video e stare muto». Per l’appunto. Però io l’ho amato di amore adolescenziale, quindi assoluto e univoco, quello che ti fa prendere tutta la filmografia – in italiano e in inglese, perché Giannini e Amendola che lo doppiano, grandi doppiatori, ma niente a che vedere con il graffio in gola della voce originale -. Quello che finché non hai visto i titoli di coda di Panico a Needle Park (1971, il primo esordio da protagonista sul grande schermo, a 31 anni) e capito the trick behind in Sfida senza regole (2008, un film imbarazzante, non fosse per le performance di Pacino e De Niro) non molli mica. E se lo vedi in cartellone compri il biglietto, anche se questi anni Duemiladieci di Pacino si possono pure lasciar perdere che è meglio, però è così. L’amore.
Ti ricordi pure dov’è cominciato, dove l’hai visto quella volta che l’hai visto per la prima volta. Dentro quel monumentale classico che è Il padrino, con due dita di cerone in faccia che neanche Wanda Osiris, i capelli con la lecca in parte – come si dice qui a Bergamo – e questi occhi bruni, agilissimi. Che d’accordo l’inarrivabile Marlon Brando, d’accordo il fascino della mafia al cinema, d’accordo tutto. Però l’indimenticabile presenza fisica di Michael Corleone, giovane, discreta, fondamentale, i suoi sguardi malinconici e crudeli nello stesso tempo. Una come fa a resistere. Se poi ha pure solo diciassette anni. Non fa, non resiste. E infatti.
Quindi no, poi niente, ti sfogli compulsivamente le sue biografie, scopri che la madre da Corleone ci viene per davvero, che il padre è originario di un paesino in provincia di Messina, che lui – Alfredo James Pacino – è nato a East Harlem, povero come erano poveri i figli dell’amata amara terra nostra. E per di più poi abbandonato dal padre quand’è ancora in fasce, in una situazione miserabile, nel South Bronx, con la madre e i nonni. E perciò, un casino: a scuola è un piantagrane, poi le droghe, forse addirittura la prostituzione, lavori di ogni genere per riuscire a stare al mondo. Da piccolo, quando vuole fare il giocatore di baseball, lo chiamano l’«attore». Da grande, quando vuole fare l’attore, nessuno lo chiama più, tantomeno gli agognati Actors’ Studio, dove prova a entrare un po’ di volte di fila. Fino a che, graziaddio, ce la fa. E poi è Lee Strasberg, è Hollywood, è il successo, è un Oscar per Scent of a woman (mannaggia all’America, perché solo uno, ma come si fa!). Ed è incondizionato amore. Il mio, intendo.
Posto che l’amore non si può spiegare, è così e basta, in questo caso ha pure delle buone ragioni. Guardatevi le sue primissime interpretazioni, quelle sconosciute (Panico a Needle Park, Lo spaventapasseri, Quel pomeriggio di un giorno da cani, ...E giustizia per tutti), dove ha questo ciuffo irresistibile ma addosso – perché non è fuori, non è accanto, checché ne dica Nanni Moretti, è proprio addosso, come la carne – ha pure un’interpretazione incredibile. La scuola di Stanislavskij, di Strasberg, degli Actors’ Studio, sbrigativamente diciamo “entrare nel personaggio” perché è così che si dice per fare prima, ma che in realtà è vivere, sentire, pensare, ricordare, emozionarsi come il personaggio. Al Pacino ci è nato, con ‘sto talento, è ovvio, mica ve lo devo dire io.
Né mi sembra di dovervi ricordare tutte le volte che si rimane imbambolati senza capire come sia possibile, che uno sia così tanto dentro una parte da fare dimenticare a noi che guardiamo che dietro, in fondo, c’è un uomo che fa l’attore: il suo corpo giovane, ben piantato sulle gambe, gli sguardi loquaci di Serpico, la magrezza e il ghigno fiero (pure in senso dantesco) di Scarface, la malinconia impeccabile e poetica dei suoi silenzi in Carlito’s Way, il suadente sorriso dell’Avvocato del diavolo. Ma pure gli altri, tutti gli altri: quegli occhi immobili e la voce immensa di Scent of a woman, le arringhe allo spogliatoio di Ogni maledetta domenica, il monologo di Shylock nel Mercante di Venezia. Capolavori nel capolavoro, scene che han fatto la storia del cinema. E dopo nulla è più uguale a prima, e dopo una come fa, a non innamorarsi. Pure se ha 75 anni. Cinquanta più di te.