AltalenAtalanta, donna e dea
Oggi scriverò qualcosa di diverso, parlerò di un argomento che non è stato materia di mia pertinenza né mai avrei pensato potesse esserlo. Ma è Natale, così mi concedo un regalino personale che scambio con quello grande che mi è stato fatto ad una età in cui proprio non me l'aspettavo. Voglio parlare del dono della squadra dell'Atalanta a me che fino a qualche annetto fa ero in dubbio se il pallone fosse rotondo o meno. Grazie all'entusiasmo che mi ha suscitato questo bel gruppo di ragazzi, grazie al fascino sottile di cui solo una Dea poteva essere artefice, eccomi innamorato del calcio e specialmente di quello che questi protagonisti nerazzurri giocano dentro e fuori le mura di Bergamo.
Ovviamente non mi illudo: resto il solito incompetente di sempre, ma sulle ali dell'attenzione e di qualche intuizione seguo con trepida ansia ogni partita, facendo del sentimento l'unica arma possibile in mancanza di strumenti tecnici da vantare. Mi interessano le loro facce, le espressioni di gioia e disappunto, i loro movimenti sul campo che talvolta incantano, il coraggio e l'apparente facilità con cui sono capaci di compiere imprese impossibili con rivali assai blasonate. E, certo, mi stupisco e meraviglio quelle volte che senza un motivo a prima vista plausibile arrivano a commettere per me errori incomprensibili al cospetto di avversari che sono loro decisamente inferiori. Allora mi rifugio tra le braccia esperte di Xavier Jacobelli, che ho avuto direttore delle pagine sportive a La Nazione, e trovo quelle risposte lucide, coerenti e incisive che solo un giornalista di lungo corso riesce a dare.
Ecco, se fossi con loro, con questi fantastici ragazzi certamente una domanda con molto affetto gliela rivolgerei: siete bravi, esprimete un gioco intelligente e quindi la vostra è una mente forgiata bene almeno quanto il corpo, avete il consenso del pubblico che vi adora. E la vostra è già in questo presente una carriera luminosa perché state nella massima serie, grazie a una società esemplare che vi sostiene. E allora per quale ragione perdere la testa e prestare il fianco alle provocazioni di chi vuol farvi inciampare?
È vero la gioventù significa anche questo, significa non sopportare facilmente i soprusi e spinge a reagire d'impeto, perché come andava spesso dicendo il mio vecchio professore di greco noi studenti a quell'età avevamo "i globuli rossi al galoppo". Ma quelli di cui racconto erano studentelli di liceo e non professionisti proiettati verso le luci della celebrità. Se azzuffarsi a quell'epoca anche per un nonnulla significava rischiare al massimo una nota sul registro, non è concesso a voi cari ragazzi perché pagate a troppo caro prezzo qualsiasi intemperanza, perché queste sono le regole del vostro gioco. Crescere, quindi, significa acquisire sempre maggiore autocontrollo e raggiungere questo traguardo equivale a vincere innanzi tutto la difficile sfida con se stessi. Ecco, io sono sicuro che questi giovani dalla faccia pulita e preparatissimi nell'affrontare le insidie del campo saranno presto uomini tenaci anche nel buttare giù i rospi che la vita prima o poi mette a sorpresa nel piatto di ognuno.
E questo allenamento alla vita reca coerenza di carattere e regala continuità in qualsiasi tipo di vittoria. A volte da appassionato linguista mi diverto, pensando alle prestazioni talora ondivaghe di questa squadra, come Atalanta e Altalena condividano una identica assonanza sul piano onomatopeico e sono parole formate entrambe da quattro sillabe. Una specie di nomen omen, di DNA segreto in quelle espressioni? Chissà! Forse il segreto della seduzione che questa squadra dal nome divino che incatena le decine di migliaia dei suoi tifosi perdutamente innamorati. Così la Dea incanta, emoziona e seduce sempre, anche quando un impulso d'amore la spinge all'indugio, a perdersi nel sogno solo per raccogliere pomi dorati: ed è allora che cede alla sua natura di donna su questa terra. Per poi mille altre volte tornare ad essere Dea.