Pfiff, romanzo di Roberto Giardina Storia operaia nella Torino anni '70

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Un romanzo risponde a una sua verità, diversa dai particolari di cronaca. È da questo incontrovertibile assunto che voglio partire per parlare un po' dell'ultimo lavoro di Roberto Giardina, intitolato Pfiff, edito da Imprimatur.

E già nel titolo, che è un suono onomatopeico, si nasconde l'essenza del libro: nell'apparente leggerezza aleggia il senso del dramma che si conclude in tragedia. L'operaio lavora agli alti forni della Fiat 500 e il suo rumore mentre scivola nella colata incandescente è appunto un pfiff, capace di trasformarlo in un tutt'uno con il metallo fino a formarne un grumo, lo stesso che verrà posto nella bara per il suo funerale.
 

 

La FIAT degli anni Settanta e il “sogno italiano”. Era la Torino degli anni Sessanta, del boom economico e della rinascita dopo le miserie della guerra, di una Fiat che dava lavoro a chiunque avesse voglia di sudarsi la paga senza temere l'alienazione da catena di montaggio. Tutti avrebbero avuto l'occasione per emanciparsi, per 'stare bene'. E benessere equivaleva a conquistare gioie spicciole, 'borghesi', come si diceva allora: un appartamento modesto, il necessario per dar da mangiare alla famiglia, e la macchina, la 500 appunto, o forse addirittura la 600. Torino accoglieva la manovalanza di mezza Italia, specie quella del sud, e mamma Fiat toglieva tanti braccianti dalla vita stentata delle campagne per far loro vagheggiare il sogno del benessere, una specie di american dream nostrano. Lavorare, produrre e possibilmente firmare un bel mucchietto di cambiali per indebitarsi con la stessa fabbrica che, come un dio implacabile, dava e al contempo toglieva.

In prima persona. L'autore di Pfiff vive tutto questo da testimone, in prima persona e dal punto di osservazione privilegiato e implacabile del cronista: anche lui immigrato palermitano, trova il suo primo impiego proprio al quotidiano La Stampa. Eppure il romanzo di Giardina, per sua stessa ammissione, non è affatto autobiografico, sebbene attinga a esperienze e a fatti accaduti realmente, in grado di formare una ragnatela di ricordi tanto tenace da incollarsi nella memoria per sempre.

 

Giardina

 

Con la Sicilia nel cuore. Godibile il racconto di Roberto, proprio e specialmente per questo incunearsi nei sentieri stretti del ricordo, facendo fiorire personaggi, evocando giganti come Hemingway, figure della statura di Gustavo Roll, dipingendo luoghi e provocando effluvi, che simili a scie portano con sé i profumi indescrivibili della sua Sicilia. Il mare, gli uliveti, il disastro del treno e l'invasione da parte degli americani nottetempo. Roberto era bambino, e forse ha ragione quando afferma di aver ricordato i ricordi di sua madre. Non c'è niente da fare, un siciliano che lascia la sua isola oscillerà sempre attratto dagli estremi di una corda da funambolo. È probabile che ancora adesso, a Berlino, dove vive da tempo ed è corrispondente per il Quotidiano Nazionale, Giardina non riesca e tutto sommato non desideri neppure sanare questa tensione. In ogni caso, non lo mollano le arancine (come si chiamano a Palermo quei capolavori di riso, ragù e piselli) e il ricordo dell'indimenticabile 4-2 dei rosaneri sulla Juventus in quel febbraio del '62.

Una scrittura agile e senza fronzoli. Il protagonista del romanzo è un uomo senza nome, «un giornalista più bravo di me», chiarisce lo scrittore, un modello ideale. E , come conviene ai personaggi creati dall'immaginazione ,può permettersi il lusso demiurgico di una perfezione estetica. Cosa unisce l'autore alla sua creatura? L'afflizione comune a ogni buon cronista e commentatore, che consiste nella difficoltà di saper sempre distinguere tra ciò che va scritto e quel che conviene tacere. Una regola che sta più nel cuore e nella sensibilità personale, che nelle regole della deontologia. Lo stile di Roberto Giardina è quello tipico di chi non ama i fronzoli, piacevolmente agile come una 500 messa ben a punto. È la scrittura di chi conosce a fondo i fatti, come sosteneva a buona ragione Hemingway, descritti in Pfiff con l'alacre piacevolezza del capitano di lungo corso.

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