Un attimo, Brittany

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Sta commuovendo l’America Brittany Maynard, la sposa ventinovenne che ha deciso di lasciare questo mondo qualche giorno dopo il compleanno del marito. Ha un tumore al cervello che non lascia scampo. È già stata operata una volta e quella bestia si è ripresentata più aggressiva di prima. Brittany ha solo poco tempo per morire. E lei ha scelto - d’accordo col marito, la mamma e il resto della famiglia - di farlo in maniera da non pesare su di loro per un tempo che potrebbe essere anche molto lungo. Chi ha avuto in famiglia un caso simile sa di cosa stiamo parlando: i medici ti dicono che hai una settimana di vita e poi il corpo si prende dei mesi prima di mollare, come se volesse farti vedere di cosa è capace, una volta che decida di far del male a te e a quelli che ti stanno intorno. La morte che scorrazza come l’Isis dentro il tempo della vita è una cosa orribile.

Brittany ha deciso che questa cosa non la vuole né per sé né per i suoi. Si sono trasferiti in Oregon - dove è possibile accedere al programma di morte assistita - hanno messo su una bella casa (abbiamo potuto farlo, dice Brittany nel video che ha fatto il giro del mondo. Altri non avrebbero avuto i soldi necessari), si stanno preparando al momento fatale composti, doloranti, coraggiosi. Una volta appresa la sentenza i due sposi, amanti dell’avventura, sono andati nei posti più belli degli States (Yellowstone, l’Alaska, il Grand Canyon), quelli che nel web si chiamano “i dieci posti che devi vedere Before You Die, prima di morire”. Hanno fatto rafting, sci-alpinismo, arrampicata, tutto quello che era possibile fare di bello prima, appunto, che il corpo cominci a fare il sadico.

Grazie, Brittany e tutti voi, di questo modo di stare di fronte alla morte entrata così presto nella vostra vita.

Non fosse che ho conosciuto - che conosco - persone della mia cerchia che sono dieci o vent’anni che dovevano morire dopo una settimana, direi che è giusto quello che questa nostra sorella americana ha deciso di fare. Non fosse che non più tardi di ieri sera, a “Chi l’ha visto?”, un’altra signora ha detto la stessa cosa (che doveva morire nell’ 83 o nell’89, non ricordo, e invece era ancora qui), direi alla famiglia Maynard: avete ragione.

Anche perché - in questo tempo stravolto - noi tutti (salvo quelli che si sfasciano il sabato notte lungo le provinciali) tutti decidiamo, in fondo, quando morire. Lo decidiamo dalla parte della vita, cioè facendo di tutto per ritardare quel momento di abbandonarla che, in altre condizioni, scadrebbe dopo pochi secondi. Si scivola in montagna: non ci fossero l’elisoccorso e i cellulari la natura farebbe il suo corso entro pochi minuti. Uno sforzo durante la solita partitella a calcetto tra amici attempati: vent’anni fa la bianca signora - la cosiddetta morte naturale - sarebbe stata lì pronta a raccoglierti. Oggi ci sono il defibrillatore, l’ospedale attrezzato nelle vicinanze, l’ambulanza pronta. Quella con la morte è comunque una lotta per decidere il momento in cui o vince l’uno o vince l’altro. Se abbiamo il diritto di rimandarla - se possiamo rimandarla - perché non lo avremmo di farle uno sberleffo anticipandola di qualche giorno quando non vorremmo proprio averla tra i piedi per settimane o mesi.

Poi ci sono i miracoli, che pure contano. E ciascuno di noi può chiederlo, per Brittany che forse non lo chiederà perché non sa che si può avanzare questa richiesta a chi di competenza. Lo desumo dal fatto che, quando trovo sul web i famosi dieci posti da vedere assolutamente prima di morire io penso che non ho alcun bisogno di prenotare aerei o alberghi perché tanto, dopo morto, ci potrò andare quanto mi pare e piace e anche a un costo abbordabile. Lei invece no. Ha fame di questa vita, la ventinovenne. E come ha scritto di recente il teologo Hans Küng (Morire felici? Piper Verlag) l’aiuto a morire può anche essere (lui dice: deve essere) inteso come estremo aiuto a vivere.

Küng ha il Parkinson e suo fratello è morto di recente di un tumore al cervello, come Brittany. Dunque sa di cosa parla. E così ad entrambi verrebbe voglia di dire, per quel che è capitato a noi: ci siamo, ragazzi. Un attimo, però. Un attimo solo, prima di dire un sì definitivo. Perché poi è irrevocabile, la decisione. E ci manchereste davvero.

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