Scampato alla strage per un soffio

«Io, bergamasco di Nizza vi racconto il dolore dei francesi»

«Io, bergamasco di Nizza vi racconto il dolore dei francesi»
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«Nizza sta cercando di tornare alla normalità, com’è giusto che sia. Non è facile. Il clima è surreale, la promenade chiusa, le forze dell’ordine stanno facendo i rilievi. C’è pochissima gente in giro, nessuno in piazza. Non c’è nizzardo che non fosse presente, ieri sera, o che non conoscesse qualcuno che fosse presente. I francesi hanno grande senso dell’orgoglio, non si lasciano andare a stati di psicosi, vivono questi momenti con compostezza, come con contegno hanno reagito agli attentati di Parigi. Ma l’essere colpiti un’altra volta a casa propria, per di più nel cuore della festa più importante per l’identità nazionale, l’anniversario della presa della Bastiglia, accresce ulteriormente il senso di insicurezza». Il giorno dopo la strage Sergio Cotti, bergamasco che vive e lavora a Nizza da quattro anni, traccia un quadro disincantato del sentimento popolare d’Oltralpe. Lo fa con la lucidità del giornalista: è stato per quattro anni corrispondente Ansa a Bergamo prima di cambiar vita e trasferirsi in Costa Azzurra per realizzare un sogno.

 

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Negli ultimi mesi, da straniero, ha vissuto l’evoluzione del Paese di cui è ospite con preoccupazione. Titolare di un ristorante di specialità meneghine e mediterranee in rue Dalpozzo, «La Milanesina», a poche decine di metri dalla Promenade des Anglais, non nasconde che l’inquietudine si faccia tangibile in più di un aspetto della quotidianità. «Si vive il pericolo in prima persona – confessa Cotti -. Già dai fatti del Bataclan. Essere minacciati in casa è una cosa diversa rispetto a vedere e leggere di fatti che sono avvenuti in un altro Paese. Siamo in Europa, è vero, e distanti solo poche centinaia di chilometri, ma è così. Torno spesso a Bergamo, noto immediatamente la differenza. L’apprensione e l’angoscia, qui, fanno breccia sottopelle. Lo schieramento di militari per strada va avanti da mesi ma la sicurezza non è aumentata. A parte quella di facciata. Quando vogliono colpire, colpiscono. Punto. Un esempio? I mercatini di Natale del dicembre scorso, un’istituzione per Nizza, città con il secondo carico turistico di Francia, sono stati confinati in un luogo recintato e sorvegliato. Per entrare era necessario passare attraverso un metal detector. Come ci si può sentir sicuri di fronte a tutto ciò?».

Blindati, chiusi in casa, come se ovunque fosse possibile mettere delle sbarre alla finestre. «La sensazione, purtroppo, è quella di sentirsi dentro la notizia», precisa Cotti. La breaking news del momento qui e ora, non sullo schermo. E lui troppo «dentro la notizia» non ci è finito, fortunatamente, per una questione di 3 o 4 minuti. Era lì, ieri sera, sulla Promenade des Anglais, per vedere i fuochi artificiali. Cento, forse 150mila le persone presenti. «Cinque minuti dopo la fine dei fuochi – racconta -, e prima che le band ricominciassero a suonare, stavo percorrendo a ritroso la promenade dal Palais de la Méditerranée all’Hotel Negresco con mia figlia di sei anni. La folla era impressionante, mi son dovuto far largo tra la gente. Poi ho girato a destra in una strada perpendicolare, dove abito. Sotto casa ho ricevuto la telefonata di un amico che era davanti al ristorante: voleva sapere se stavo bene. C’era gente che correva e scappava terrorizzata, mi ha raccontato. Ho pensato che nel tratto percorso sul lungomare potrei esser passato a pochi metri dall’attentatore, che i miei occhi potrebbero aver incrociato i suoi, anche solo per una frazione di secondo».

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