«Silvio Berlusconi non vendeva pubblicità, ma un mondo diverso»
Renato Morgandi, patron dell'Imetec, racconta il suo rapporto con il Cavaliere, cominciato quarant'anni fa e mai venuto meno
di Ettore Ongis
A maggio del 1983 Silvio Berlusconi arrivò a Bergamo portando con sé i suoi dirigenti e invitò a cena alcuni imprenditori. Da noi, a quell’epoca, erano pochissimi a investire in pubblicità. Renato Morgandi, patron della Imetec, era uno di questi.
Aveva promosso il suo marchio sulla Rai, sui giornali nazionali e su alcune televisioni private, ma la strada per accedere ai grandi media, per costi e provvigioni, era tutta in salita. Nel 1982 aveva incontrato per la prima volta gli uomini di Publitalia a Milano, ma non trovò l’accordo. Al termine di quella cena a Bergamo, Morgandi raccontò a Berlusconi il tentativo non andato in porto. Il Cavaliere lo interruppe: «Va bene - gli disse - adesso investiamo insieme». Da quel momento, tra Imetec e Publitalia è iniziata una storia che va avanti ininterrotta da quarant'anni.
Come andò la prima campagna?
«Investii tantissimo, più del doppio dell’anno precedente, e fu un successo superiore a ogni aspettativa. I risultati furono incredibili».
Che impressione le fece Berlusconi durante quel primo incontro?
«Quella di una persona che abitava nel futuro. Rispetto a tutti gli schemi sulla pubblicità che c’erano allora - erano fissi persino gli sconti -, lui mi sembrò avanti anni luce. Non vendeva spazi, ma un mondo diverso. Diceva: investiamo insieme e sulla base dei risultati avremo possibilità di crescere noi e voi. Il suo atteggiamento mi convinse e sono stato molto contento di averlo incontrato e di avere collaborato con lui».
Il suo segreto?
«Era un imprenditore che si era sporcato le mani - pensiamo anche solo a quel capolavoro che è stato Milano 2 -, ma vendeva il bello, la qualità: filtrava le aziende da promuovere sulle sue reti, non accettava di tutto. Perché era sicuro che se l’altro avesse ottenuto dei risultati, l’anno successivo avrebbe investito di più. E così è stato».
Si è creato un legame fra voi.
«Alcuni lunedì ho potuto presenziare alle riunioni nelle quali i dirigenti presentavano alla loro forza vendita i palinsesti della settimana. Loro investivano su di noi e noi su di loro. Spesso, poi, Berlusconi mi invitava ad Arcore oppure a Lugano, dove organizzava momenti di confronto in cui si parlava di progetti, ma anche della vita. Era un uomo di grandi visioni, acuto e molto generoso».
Generoso?
«Sapeva fare i soldi, ma anche aiutare le persone che avevano bisogno».
Ma lei lo definirebbe un amico?
«Mi conosceva bene, ma io non sono mai andato a importunarlo, parlavo soprattutto con i suoi più stretti collaboratori. Capitava però spesso che mentre ero al telefono con uno di loro, lui dicesse: “Passami Renato”. Una volta ci incontrammo a Roma, mi disse: “Mi dispiace, ho solo cinque minuti”. Ci sedemmo in poltrona e si rialzò dopo un’ora e mezza».
Quindi lei parlava con Adreani e Dell’Utri, i capi di Publitalia…
«Non solo con loro, ma era tutta gente di altissimo livello. Berlusconi sapeva scegliere le persone».
A quel tempo non pensava alla politica.
«Aveva acquisito licenze di ripetitori in tutta Italia ed ebbe l’intuizione di trasmettere i suoi programmi contemporaneamente su tutto il territorio nazionale. Una novità che spiazzò il mondo politico. Molti uomini dell’Ancien Régime considerarono quello strappo un reato di lesa maestà (...)