C'è da chiedersi dove va la stampa se il Corriere è in affitto a casa sua
Il Presidente della Rcs Libri Paolo Mieli, l’altra sera in televisione, ha detto - sorridendo - che tornerà a fare per la terza volta il Direttore del Corriere solo alla quarta volta, ossia saltando un turno. Per il momento ne facciano uno - ha lasciato intendere -: quando anche questo sarà sfiduciato, magari potrà prendere in considerazione la proposta. E chi sa che a quel punto, invece di varcare la soglia di via Solferino, non debba varcarne un’altra, dato che la storica sede del principale quotidiano italiano è stata venduta un anno e mezzo fa e attualmente il Corriere la occupa a canone fisso. Anche l’altra parte del prestigioso complesso - quella della Gazzetta dello Sport - che affaccia sul Tumbun de San Marc è stata offerta in affitto, senza che alcuno abbia però - al momento - dichiarato il proprio interesse. Nel frattempo il quotidiano rosa si è trasferito in una nuova sede, a Crescenzago. Se, come dicono, dalle periferie si vede meglio il mondo, la sua è una condizione invidiabile.
Il NYT e la sua sede. Però che il Corriere lasci via Solferino ci dispiace. Ci dispiacque anche quando, anni fa, il New York Times si riservò solo una piccola parte del grattacielo che aveva commissionato a Renzo Piano per farne la propria sede di prestigio. Della gran parte dell’edificio dovette disfarsi per far fronte a perdite impreviste dovute ai mutamenti in corso nell’ambito dell’editoria giornalistica. Nel corso di un anno il più importante quotidiano del mondo era passato da ricavi stratosferici a perdite altrettanto significative: colpa dei tablet, chiaramente. Adesso non passa giorno che nella posta di chi legge il NYT non si trovi una proposta di abbonamento a prezzi ancor più stracciati di Poltrone e sofà, gli artigiani della qualità.
La rete vive della gratuità. Verrebbe quasi voglia di abbonarsi, per una specie di compassione, se il web, da parte sua, non avesse abituato il mondo a servirsi gratis dei contenuti messi in rete. Basta osservare il destino delle App: ce ne sono che costano meno di 5 euro che nessuno compera, solo perché le procedure di pagamento (due click e una password) sono ancora troppo complicate. Dicono che sia per questo, ma non è così. Nessuno le compera perché - come ha scritto Chris Anderson nel suo (discusso, ma imprescindibile) Gratis (EUR 8.50 con copertina flessibile; EUR 6,99 in formato Kindle) la rete vive dell’idea stessa della gratuità, della collaborazione gratuita. Liberi tutti di non crederlo, «eppure, un sistema operativo gratuito e libero ha trasformato Linux in un gruppo da oltre trenta miliardi di dollari, Google ha fatto dei servizi free la propria via al dominio economico, e la free press ha rivoluzionato il mondo dei quotidiani conquistando fette di mercato sempre più ampie».
Pure Windows si adegua. È dell’altro giorno la notizia che la prossima release del sistema operativo di Microsoft, Windows 10 sarà non solo gratuita, ma gratuita anche per chi disponga di una copia piratata. Come se Louis Vuitton decidesse di regalare una pochette autentica a chi portasse in uno dei suoi negozi una borsa LV anche taroccata. I giornali sono nella stessa situazione di Microsoft: se vogliono guadagnare qualcosa dovranno pensare di usare le notizie come richiamo o ponte per altro. Perfino lo Smithsonian Institute, prestigiosa fondazione scientifica editrice del National Geographic, ha capito che se vuole rientrare dei costi dei suoi stupendi servizi deve affidarsi al merchandising: maglioni e camicie d’inverno, tende, scarpe da trekking e altro materiale di consumo d’estate. Uno più bello dell’altro.
Inviati pagati quanto badanti. Chi non intende percorrere questa strada dovrà fare ciò che ha scritto Francesca Borri, la free lance autrice del bellissimo libro sulla Siria di cui abbiamo dato notizia: pagare chi passa i propri giorni all’inferno poco meno di una badante in nero. Una situazione non accettabile, anche se forzosamente accettata. O accettata in nome di una passione, non certo delle leggi dell’economia. E così anche il Corrierone se ne va. Diremo, passandoci davanti mentre si cammina da Largo Treves a via della Moscova: qui lavorava Montanelli, questo era il posto dove Dino Buzzati ha immaginato Il Deserto dei Tartari, qui Walter Molino mandava le tavole per la Domenica del Corriere e Giovanni Mosca dirigeva il Corrierino dei Piccoli. Adesso ci fanno altro. Perché i giornali dicono - a se stessi e agli altri - che vogliono fare informazione. In realtà l’informazione è solo uno dei tanti aspetti di un’impresa economica e finanziaria che, fino a che rende, può continuare, ma quando non rende più deve sostituire il suo core business se non vuole fallire.
Costi e prospettive. Il NYT ha cercato di capire questa situazione e ne sta venendo fuori. Se a via Solferino - fin tanto che l’affitto lo permette - saranno capaci di fare altrettanto, magari noi avremo il giornale gratis e loro riusciranno a non chiedere più cifre da capogiro a chi voglia comperare mezza pagina (o anche solo un quarto) per far sapere a tutti cosa pensa su un certo argomento.