C'è un'altra notte di Pasqua che è stata molto importante

Ovviamente la notte di Pasqua più importante della storia è stata quella di quasi 2mila anni fa (esattamente 1985) quando le donne arrivando al Sepolcro, lo trovarono vuoto con la pietra pesante che lo copriva completamente divelta. Sappiamo tutti cosa era accaduto.
Il battesimo di Sant'Agostino. C’è però un’altra notte di Pasqua che è stata molto, molto importante per la nostra storia. È datata 387 (senza mille davanti) e ha come luogo non più Gerusalemme ma Milano. Quella notte infatti Ambrogio, vescovo della città, battezzò un intellettuale coltissimo e inquieto arrivato dall’Algeria. Si chiamava Agostino. Venne battezzato lui con il figlio Adeodato e un amico del cuore Alipio. «Fummo battezzati. E da noi caddero via tutte le preoccupazioni della vita di prima», scrisse Agostino in quel testo modernissimo e impareggiabile che sono le Confessioni.
Può esser ricostruita quasi come un film quella notte con tutte le sue emozioni e anche le sue lacrime. Agostino ci era arrivato non certo d’improvviso. Aveva dovuto acquietare la propria intelligenza che lo aveva sempre abituato a non lasciare nulla per scontato.
Una dolcezza nuova. Aveva (anche lui) 33 anni. Alla vita non poteva recriminare niente, perché aveva avuto tutto, successo, amicizie, carriera, anche amori senza necessità di legarsi. Poi, una volta arrivato a Milano, di panni di professore ammirato e osannato si era trovato dentro una rete di esperienze impreviste. Persone che vicine a lui si erano fatte conquistare dalle parole e dal modo di porsi dell’uomo indiscutibilmente più potente di Milano, il vescovo Ambrogio. La prima a lasciarsene conquistare era stata sua mamma, Monica. Poi tanti amici, anche il figlio avuto da una sua avventura amorosa. È stupenda la pagina delle Confessioni in cui racconta come questa imprevista dolcezza ha iniziato a conquistare la sua vita.
Il vescovo Ambrogio. Era accaduto in un momento complicato perché Giustina, mamma dell’imperatore Valentiniano, aveva deciso di perseguitare Ambrogio, colpevole di combattere l’eresia ariana. Anziché usare la forza, il vescovo, con scaltrezza straordinaria, aveva conquistato a sé il popolo scrivendo dei canti sul testo dei suoi inni. «Non da molto tempo la Chiesa milanese aveva introdotto questa pratica consolante e incoraggiante, di cantare affratellati, all'unisono delle voci e dei cuori, con grande fervore», ricorda Agostino. E poi proseguiva: «Noi stessi, sebbene freddi ancora del calore del tuo spirito, ci sentivamo tuttavia eccitati dall'ansia attonita della città. Fu allora, che s'incominciò a cantare inni e salmi secondo l'uso delle regioni orientali, per evitare che il popolo deperisse nella noia e nella mestizia».
La conversazione. Agostino stava cedendo, per attrazione verso questa bellezza condivisa dal popolo più che per un ragionamento. Anche se lui comunque non rinunciava mai a ragionare sull’esperienza che stava facendo. Così arrivò la conversione nel settembre del 386, sotto forma della voce di una bambina che gli diceva tolle et lege, prendi e leggi, riferendosi alla Bibbia. Qualche mese dopo Agostino si inginocchiava davanti ad Ambrogio, nel battistero di San Giovanni ad Fontes, dove oggi si trova il Duomo di Milano. Era la notte di Pasqua dell’anno 387. Una delle più grandi intelligenze mai apparse sulla terra si era convertito al cristianesimo.