Nella notte tra il 16 e il 17 luglio 1918

Cent'anni fa la fine dei Romanov (ma la Russia ama lo zar-martire)

Cent'anni fa la fine dei Romanov (ma la Russia ama lo zar-martire)
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Nella notte tra il 16 e il 17 luglio di cento anni finiva un grande capitolo della storia. L'ultimo zar Nicola II, la moglie Alexandra e i loro cinque figli che avevano tra i dieci e i vent'anni quella notte vennero giustiziati a Ekaterinburg dai bolscevichi, fucilati nei sotterranei del palazzo Ipatiev. Dopo trecento anni di dominio, la dinastia dei Romanov veniva spodestata. Una fine precipitosa, con rivoluzione in corso. Non ci fu tempo per nessuna esequie: i corpi vennero gettati in una fossa comune in un bosco a venticinque chilometri da Ekaterinburg, negli Urali. E solo nel 1979 vennero ritrovati i resti dello zar Nicola, di sua moglie Alexandra e di tre dei figli: Anastasia, Olga e Tatiana. Resti che dal 1998 sono sepolti nella Cattedrale di Pietro e Paolo a San Pietroburgo. Non tutti però erano convinti che quelli fossero le ossa vere dei Romanov, tanto che l’allora patriarca della chiesa ortodossa di Mosca Aleksej evitò di andare a benedire i resti e si limitò a mandare un vescovo, in quanto per lui quelli restavano ancora “resti di ignoti”. Lo stesso film si è rinnovato rispetto ai resti dei due figli mancanti, lo zarino Aleksej e sua sorella Maria, che vennero ritrovati nel 2007 e sono conservati in custodie stagne negli Archivi di Stato di Mosca. Una commissione di esperti ha confermato attraverso l’esame del Dna la parentela con i resti dello zar, confermando quindi l'appartenenza alla stessa famiglia. Ma la chiesa ortodossa ha preferito comunque restar fedele alla propria credenza, in base alla quale i Romanov dopo l’esecuzione sarebbero stati sepolti nel monastero di Ganina Jama, presso Ekaterinburg.

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Sui Romanov calò una vera “damnatio memoriae”. Per decenni Nicola II è stato sul banco degli imputati, non solo in Russia ma anche in Occidente. Lenin lo aveva etichettato come tiranno nel suo Dittatura del Proletariato. Nicola II e la sua famiglia furono dichiarati “nemici del popolo”. Secondo quanto ricostruisce Luciano Garibaldi nel suo recente libro Uccidete lo zar!, «la notizia della morte dello Zar fu letta ad alta voce con sorrisi, derisione e commenti volgari». I giovani, in particolare, giubilarono, mentre i vecchi tendevano a starsene in silenzio. In privato, una piccola parte degli aristocratici già alleggeriti delle loro sostanze compianse l’assassinio dello Zar e alcuni temevano il peggio per le proprie famiglie. Con il passare degli anni la memoria dei Romanov fu eliminata dalla psiche collettiva dei russi.

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Eliminata ma non estirpata. Perché nei ultimi decenni si è assistito a un fenomeno inverso. Le immagini di Nicola II e della sua famiglia che erano state soppresse dai governanti comunisti, oggi sono tornate ad essere venerate in chiese, santuari e cappelle, dal Baltico al Pacifico. Ogni anno decine di migliaia di pellegrini viaggiano a Ekaterinburg per rendere omaggio e offrire le proprie preghiere a quello che oggi per migliaia di persone è lo “Zar-martire”. Non è solo un’operazione nostalgica, come spiega Mattew Dal santo nell’introduzione al libro di Garibaldi. È qualcosa che ha profondamente a che vedere con l’anima russa. Per i russi «la grandezza del governante consiste nella profondità del suo amore per il popolo e nella sua capacità d’immolarsi, al punto da rinunziare al proprio potere e alla propria vita». Per questo Nicola II non è solo il passato, ma viene indicato come parametro per il presente.

 

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