C'era una volta Hollande il playboy diventato oggi un petit Napoléon
Chissà se François Hollande, quel 15 maggio 2012 in cui travolse alle urne Nicolas Sarkozy, s’immaginava che sarebbe stato così duro fare il presidente della Repubblica francese. Probabilmente si era sognato sette anni di gloria e passerelle al fianco della bella Valérie Trierweiler, tra brindisi e cene con tutti gli uomini più illustri del mondo. Una bella favola per un uomo dall’aria un po’ svampita, noto più per i suoi pensieri sulle donne che per quelli sulla politica. La bella Valérie, infatti, aveva preso il posto della moglie, Ségolène Royal, madre dei quattro figli di Hollande e piantata in asso il giorno in cui lei, da candidata socialista, era stata sconfitta brutalmente dallo stesso Sarkozy sette anni prima. Hollande, per diverso tempo, è stato famoso come il presidente che fuggì in motorino dall’Eliseo per raggiungere la casa dell’amante (allora) clandestina, Julie Gayet, che per le sue illuminanti prese di posizioni politiche. Sorpreso da un paparazzo, affrontò il terremoto casalingo con tanto di cambio di first lady all’Eliseo con indiscutibile aplomb.
Insomma, per François Hollande, fino a quel momento, le guerre erano state soprattutto faccende di letto e poco altro. Gli osservatori lo prendevano in giro, ribattezzandolo «timoniere dei piccoli tempi» o «capitano del pedalò».
[Hollande e due della sue donne: l'ex first lady Valérie Trierweiler (a sinistra) e la "amante" Julie Gayet (a destra)]
La storia è cambiata quando qualcuno ha iniziato a tirar fuori i sondaggi: i livelli di consenso di Hollande erano scesi così in basso e in così poco tempo da stabilire un record tra tutti gli inquilini dell’Eliseo. Risultati che, ovviamente, inquietarono non poco i dirigenti del partito socialista francese. Era passato appena un anno dal voto, e tutto il patrimonio elettorale conquistato sembrava essersi già dissolto. A quel punto Hollande ha tentato la più improbabile delle giravolte: da presidente playboy si è trasformato in presidente generale d’armata. Il primo passo è stata la decisione di impegnare le truppe in Mali. Operazione ad alto rischio per bloccare colonne di jihadisti che volevano impadronirsi della capitale Bamako. Hollande vide in quel tentativo il disegno di costruire una centrale logistica del terrorismo nell’Africa Subsariana francofona e decise per l’intervento drastico. È nato così l’Hollande marziale, il presidente capo d’armata. Anche se, a dirla tutta, i più non si resero conto di questa profonda metamorfosi.
Poco dopo, un altro strappo: Hollande annunciò le linee programmatiche di una politica economica anti-crisi, tutte improntate a una filosofia di destra e filo padronale. La sinistra andò sotto choc, la destra fu spiazzata. Ma lui, con un’intransigenza che non gli si conosceva, picchiò contro l’eccessivo costo del lavoro e contro la pressione fiscale che rendeva, a suo parere, l’industria francese poco competitiva. Meno di un anno dopo, a inizio 2015, la drammatica strage nella redazione di Charlie Hebdo. Hollande, preso in contropiede, presenziò, con quell’aria un po’ improbabile, prima in tv e poi in testa alla gigantesca manifestazione di risposta al terrorismo. «È il presidente consolatore», scriveva allora Le Monde, «quello che mobilita i cittadini, li incoraggia a incarnare lo spirito dell’11 gennaio».
L’ultimo capitolo di una metamorfosi senza precedenti è stato scritto in questi giorni. Colpita la Francia da un’offensiva terroristica senza precedenti, Hollande ha rotto gli indugi: non solo chiama alla guerra, quasi fosse un Bush europeo, ma addirittura fa quello che in Francia sembrava impensabile, cioè chiede di prolungare lo stato di emergenza per altri tre mesi, cosa che di fatto si traduce in una limitazione delle libertà delle persone, vietando anche manifestazioni e raduni pubblici. Per farlo è necessario cambiare la costituzione transalpina, ma a quanto pare il generale Hollande, ormai, non si ferma più davanti a niente.