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Che cos'è davvero il jazz Ora che è finito il Bergamo Festival

Che cos'è davvero il jazz Ora che è finito il Bergamo Festival
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Si è conclusa domenica 22 marzo la trentasettesima edizione del Bergamo Jazz Festival, tre giorni di musica e riflessioni su uno dei generi più amati al mondo. Ma che cos’è il jazz?  «Se hai bisogno di chiederlo – diceva Louis Armstrong – non lo saprai mai», perché il jazz è qualcosa di complesso, di tanto seducente quanto inafferrabile, qualcosa che, in fondo, non si può spiegare.

Dalle piantagioni ad Hollywood. Il jazz è una musica popolare, nata fra gli schiavi che lavoravano i campi del sud America e portata a nord sui battelli che risalivano il Mississippi, dove venivano assoldate orchestrine per l’intrattenimento di bordo. La meta di molti musicisti diventò così Chicago, città che attrasse anche Joe Oliver, che a sua volta chiamò a sé il trombettista Louis Armstrong, il più prolifico e talentuoso musicista jazz di tutti i tempi: nel film Manhattan Woody Allen cita l’incisione di Armstrong del brano Potato Head Blues come una delle cose per cui vale la pena vivere. Altro importante palcoscenico del jazz fu la città di New York che, grazie ad un’intensa vita notturna, ben presto diventò il punto di confluenza dei più grandi artisti. Spuntato nelle piantagioni del sud e cresciuto per strada e nei bordelli, il jazz è riuscito nel tempo a conquistare Hollywood, ad approdare nella sofisticata Europa degli anni Venti e a risuonare nei club più esclusivi del mondo (come il newyorkese Cotton Club che ospitò, tra gli altri, l’immortale Duke Ellington).

 

 

Una musica dalla cattiva reputazione. Il jazz è una musica dalla cattiva reputazione, suonata agli inizi del Novecento nelle case chiuse di Storyville, il quartiere a luci rosse di New Orleans. «To jizz», il verbo da cui secondo alcuni deriva il termine jazz, significa letteralmente «eiaculare». Ed è proprio a New Orleans, dove questa musica nasce e si diffonde, che inizia a suonare quello che viene considerato il primo vero jazzista: il cornettista Buddy Bolden, seguito poco dopo dal collega Joe Oliver, detto “il Re”.

Una musica democratica. Il jazz è una musica democratica, un dialogo fra artisti, dove nessuno sovrasta nessuno, dove c’è una reale eguaglianza fra tutti i componenti, dai cantanti al compositore ai solisti. Earl Hines, pianista di prim’ordine che suonò a lungo con Armstrong, nel 1981 dichiarò che «Nessuno era "più grande" di un altro. Si era tutti amici e non si era consapevoli che si stava suonando qualcosa di molto importante. Louis, nei vari brani, suonava un po', poi lasciava suonare me, poi qualcun altro, e così via».

Una musica non solo black. Il jazz è una musica nera, che viene apprezzata e suonata anche dai bianchi. Fin dai primi anni del secolo scorso, infatti, molto significativo è il loro apporto alla creatività del genere. Basti pensare che la prima jazz-band, ovvero la Original Dixieland Jass Band (O.D.J.B.), era composta esclusivamente da musicisti bianchi, capitaneggiati dal trombettista italo-americano Nick la Rocca. Altri esempi sono il sofisticato George Gershwin, che pensava alla musica come ad una scienza emozionale e l’estroso Bix Beiderbecke, la cui musica fu definita «la cosa più vicina al paradiso». E come non citare Hoagy Carmichael, che nel 1927 compose Stardust (Polvere di stelle), ancora oggi considerata una tra le più belle canzoni mai scritte.

 

 

Una musica di lotta. Il jazz è una musica sociale, sensibile alle lotte della popolazione afroamericana per la conquista della parità dei diritti civili. Il brano Strange fruit, portato al successo nel 1939 dalla sublime voce di Billie Holiday, è stato una dura denuncia contro il linciaggio dei neri nel sud degli Stati Uniti: lo «strano frutto» di cui parla la canzone è il corpo di un nero impiccato ad un albero. Più tardi, alla fine degli anni Cinquanta, molti musicisti (tra cui Max Roach, Sonny Rollins e Charles Mingus) si sono impegnati nella lotta per i diritti civili e hanno creato composizioni dedicate alla causa della popolazione di colore, una fra tutte l’album Freedom Suite (Suite della libertà) di Sonny Rollins.

Una musica intima. Il jazz è una musica intima, capace di dialogare direttamente con l’ascoltatore senza bisogno di intermediari. Woody Allen, rievocando il suo primo incontro con questo genere dichiarò: «Quando mi svegliavo per andare a scuola c'era sempre la radio accesa, come in tutte le case d'America e la musica che veniva dalla radio era Benny Goodman, Artie Shaw, Louis Armstrong, e suonavano canzoni di Cole Porter, George Gershwin, Irving Berlin. Io mi dicevo: questa è la musica, bella, sorprendentemente inventiva, piena di sentimenti che mi riguardano».

Una musica in movimento. Il jazz è una musica in movimento, che non smette di evolversi e di contaminarsi con gli altri generi. Verso il 1945 a New York, nasce il Bebop, uno stile jazzistico nuovo, i cui pionieri indiscussi sono il sassofonista Charlie Parker ed il trombettista Dizzy Gillespie, pochi anni dopo compare il Cool jazz, movimento dalle caratteristiche più melodiche e rilassate il cui inizio viene segnato dall’album Birth of the Cool del 1949 e di cui il trombettista Chet Baker è stato un illustre rappresentante. Siamo alla fine degli anni Cinquanta ed il jazz cambia ancora: nasce il Jazz modale, basato sulle scale musicali (modi) anziché sugli accordi, i cui caposcuola sono Miles Davis e John Coltrane. Il jazz è multiculturale, nel senso più vasto del termine, negli anni si è contaminato con le sonorità latino-americana (si pensi alle incisioni di jazz-samba di Stan Getz) e con quelle del rock, del funky e del soul (fusioni che ritroviamo, fra gli altri, in Miles Davis, Herbie Hancock e Weather Report).

 

 

Una musica anarchica. Il jazz è una musica anarchica, che infrange e trasgredisce le regole della melodia. È una musica in cui la composizione di base viene arricchita e spezzata dall’improvvisazione, da intuizioni spontanee e geniali. Lo scrittore Massimo Bontempelli parlava di «senso continuo di pericolo imminente», dovuto alla mescolanza fra ripetizione ed innovazione, alla (potenzialmente) infinita rielaborazione degli standard, ovvero dei brani che compongono il repertorio noto a tutti i musicisti jazz (la cui compilazione fu iniziata, fra gli altri, da George Gershwin, Cole Porter e Jerome Kern).

Una musica... Nel jazz, insomma, si trova tutto: l’eleganza dei club e la passione trasgressiva dei bordelli, la ripetizione e l’imprevisto, la dolcezza e l’irruenza, l’uguaglianza e la segregazione, la disciplina e l’anarchia, il legame con le origini e l’esigenza di rinnovazione, l’equilibrio e gli strappi improvvisi, il bianco ed il nero. In conclusione, è difficile dire con precisione che cosa sia il jazz, ma pare che si tratti di qualcosa di molto simile alla vita e, forse, è per questo che ci piace tanto.

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