Breve storia di una grande storia

Che cos'erano le reducciones (sì, proprio quelle del film Mission)

Che cos'erano le reducciones (sì, proprio quelle del film Mission)
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Cosa sono le reducciones di cui si è parlato tanto in occasione del viaggio di papa Francesco in Ecuador, Bolivia e Paraguay? Bisognerebbe dire “cosa sono state”, perché adesso non ci sono più. Sono state un mirabile esempio di socialità e cultura civile, scomparso qualche decennio prima della Rivoluzione francese per eccesso di ingenuità: chi le mise in piedi - la Compagnia di Gesù, i Gesuiti - commise l’errore imperdonabile di pensare che una città, o anche solo un villaggio, potesse (o possa) vivere in pace senza doversi attrezzare per sostenere la guerra. Cioè senza dotarsi di mezzi adeguati di difesa: armi o diplomazia. E così la seconda - i contrasti tra Spagna e Portogallo sommati a quelli interni ai due regni - le spazzò via.

 

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Ma com’erano nate, e come si erano diffuse le reducciones?

Tutto iniziò con la fondazione, nel 1534, della Compagnia di Gesù, la creatura di san’Ignazio di Loyola. Quindici anni dopo - alla metà esatta del secolo - i Gesuiti erano già presenti nel Nuovo Mondo per annunciare il vangelo alle genti da poco pervenute alla coscienza degli Europei. Si insediano in Brasile, colonia portoghese. A San Salvador de Bahia fondano il loro primo collegio sudamericano. Dovranno abbandonarlo due secoli dopo, inseguiti dalle autorità locali che li ritenevano d’intralcio alla loro attività di rapina. Nel 1586 li troviamo in Perù; nel 1607 nel territorio dei Guarany (attuale Paraguay, Bolivia orientale, Argentina settentrionale, Uruguay e Brasile del sud ovest, allora governato dagli spagnoli). Del 1609 è la fondazione del loro collegio ad Asunciòn: papa Francesco è un gesuita, si capisce che sia stato contento di andarci. Da quel momento in poi la loro espansione divenne inarrestabile.

Il motivo del successo è abbastanza comprensibile: i Guarany vivevano poveramente (manioca e solo manioca tutti i giorni, mattina e sera. E la pampa, ci ricorda la canzone, è una tierra triste), con tutti i membri dello stesso clan abituati a convivere sotto uno stesso tetto di fogliame, sempre in lotta coi clan dei territori confinanti, situazione che costringeva l’una o l’altra popolazione a spostarsi continuamente per fare spazio ai vincitori. I Gesuiti riuscirono nell’intento di farli smettere di litigare mostrando loro la possibilità di vivere in maniera più comoda - ciascuno in casa propria - e di mangiare qualcosa di diverso dalla manioca. Evangelizzare significava per loro consentire agli autoctoni l’esperienza di un modo di vivere meno approssimativo di quello in cui erano cresciuti.

Sorsero così le reducciones, villaggi perfettamente organizzati, quasi asburgici, che non dovevano sottostare ai funzionari del re perché dipendenti unicamente dal vicerè. Il tutto al prezzo - apprezzabilmente modesto - di una quantità di mate (non per niente bevanda nazionale argentina) o altra derrata da spedire a Madrid: una specie di cedolare secca.

 

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Problema enorme: os bandeirantes, ossia l’azione degli schiavisti, i commercianti di uomini che ritenevano i Gesuiti responsabili del crollo verticale della disponibilità del loro prodotto di punta. A un secolo circa dalle prime fondazioni i bandeirantes decisero che era venuta l’ora di farli smettere. Attaccarono gli insediamenti e fecero uno scalmazzo tale da indurre papa Urbano VIII (Barberini) a intervenire con una bolla contro lo schiavismo. In più i Gesuiti ottennero dal re Filippo IV di Spagna il diritto di armare ed addestrare alla difesa i loro protetti divenuti nel frattempo operosi cittadini del nuovo mondo. Basterebbe pensare al fatto che la prima tipografia dell’America meridionale fu messa in piedi in una reducciòn per rendersi conto di cos’era successo. Che i primi libri sudamericani furono opera della gente dei nuovi villaggi, che si dimostrò insospettabilmente, mirabilmente abile in molti campi, fra cui la musica.

Quando, l’altro giorno ad Asunciòn, ha suonato davanti al Papa l’orchestra di Cateura, che usa strumenti costruiti con materiali provenienti dall’omonimo vertedero (un’enorme discarica) gli spiriti degli antenati si toccavano con mano. Tanto più che al loro tempo non c’erano ancora le discariche: il loro territorio era lindo e splendente, nessuno poteva entrarci - tranne il vescovo - e tutti vivevano in pace e d’accordo - salvo, ovviamente, i soliti contrasti generati dal disagio della civiltà. In breve gli abitanti divennero artisti, carpentieri, costruttori di chiese, orafi e quant’altro. Già il barocco è uno stile abbastanza carico, il barocco guarany gronda d’oro e di legni preziosi, intarsi e colonne a tortiglione.

Ce n’era d’avanzo per scatenare nei potenti d’allora - la corona di Spagna e quella del Portogallo - la voglia di metter fine a tanta bellezza nata e sviluppatasi assolutamente al di fuori della loro iniziativa. Nel 1750 il Trattato di Madrid assegnava a Lisbona i territori ad est del fiume Uruguay - fino a quel momento spagnoli - mentre passavano alla Spagna la Colonia del Sacramento (sul Rio de la Plata, davanti a Buenos Aires) e le lontane Filippine. Gli abitanti delle reducciones furono immediatamente invitati ad abbandonare le loro terre. In un tentativo estremo di preservare le loro conquiste civili i Gesuiti offrirono ai signori di Madrid tutto quel che avevano in ricchezze ed altro, ma non ottennero niente. I Portoghesi si rifiutarono addirittura di iniziare le trattative. Le armi che si erano dimostrate sufficienti a tenere a bada gli schiavisti mostrarono tutti i loro limiti di fronte alle forze coalizzate ispano-portoghesi che in sei anni (Guerra del Guarany, 1750-1756) dispersero gli indigeni che - prima di abbandonarli - bruciavano i villaggi in cui era fiorita la loro breve civiltà.

 

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La colpa dei massacri fu riversata, dalla macchina del fango messa in piedi nel Vecchio e nel Nuovo Continente da spagnoli e portoghesi, sui Gesuiti. La Compagnia fu dapprima espulsa da entrambi gli stati della penisola iberica e poi, nel 1773, definitivamente soppressa. Quando oggi assistiamo a campagne diffamatorie orchestrate nei confronti di altre comunità missionarie sappiamo che non si tratta di una novità. Per il loro bene - ovviamente - i nativi furono privati dei loro averi mobili e immobili, abusati in ogni modo, ridotti a vivere di furti e rapine, costretti a far da carne da cannone nei conflitti locali. Molti finirono come gli Irlandesi sotto l’Inghilterra: morirono di fame.

E pensare che solo poco tempo prima le comunità disponevano di oltre seicentomila capi di bestiame (le churrasquerias delle nostre città e l’industria degli estratti di carne non si comprende senza questo precedente), avevano organizzato un mercato centrale a Buenos Aires dal quale spedivano in Europa cuoio, miele, frutti esotici, pigmenti per tinture, opere di artigianato in legno, metallo o pietra tenera. Padre Aldo Trento - il cui ospedale degli incurabili il Papa ha visitato nel corso del suo ultimo soggiorno ad Asunciòn - ha riscoperto le tecniche che venivano insegnate e i manufatti che abbellivano i villaggi, fra cui alcune pregevoli colonne. Scriveva al tempo il missionario gesuita padre Sepp a proposito delle capacità dei Guarany:

“Ciò che hanno visto una sola volta, si può essere convintissimi che lo imiteranno. Non hanno assolutamente bisogno di maestri, né di direttori che li indirizzino o che insegnino loro le regole delle proporzioni, neanche di professore che gli spieghi i fondamenti della geometria. Se li metti a contatto con una figura umana o un disegno, vedrai in poco tempo eseguita un’opera d’arte, come in Europa non se ne può avere che le stia al pari”. [da wikipedia.it]

Nel 1700 fu creata la prima tipografia nella Missione di Loreto, in Argentina, e vi fu prodotto nel 1705, dall'indigena Juan Yapai, il primo libro stampato nel paese, un Martirologio Romano. In seguito vennero stampati anche altri libri, calendari, tavole astronomiche e spartiti musicali. Alcuni indigeni appresero a parlare e a scrivere molto bene in latino, spagnolo e nella lingua locale, come il cacique Nicolás Yapuguay, della Riduzione di Santa Maria, che scriveva in guarany con grande eleganza, ed ebbe due libri stampati. L'indigena Melchor scrisse la storia del suo villaggio - Corpus Christi -, e l'indigena Vasquez quella di un altro, Loreto. [wikipedia.it] Si innamorarono della musica, mostrando capacità insospettabili di ascolto e di esecuzione. Erano affascinati soprattutto dalla musica d’organo.

 

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E nonostante tutto ciò, quando uscì il film Mission (1986), con la colonna sonora firmata dal grande Ennio Morricone, Alberto Moravia (che era Alberto Moravia, non l’ultimo arrivato), in un articolo comparso sul Corriere della Sera, si espresse più o meno in questi termini: il film fa vedere come secoli fa sia nata e si sia sviluppata una società davvero prodigiosa, se si dovesse credergli. A noi, però, hanno sempre insegnato che i Gesuiti avevano fatto soltanto del gran male a quelle popolazioni. E dunque (e qui sta la perla) chi mi garantisce che la foresta sudamericana non abbia, nel frattempo, cancellato le tracce di una feroce dittatura, di una sanguinosa repressione, di cui non possiamo più avere la documentazione?

Preferiva continuare a pensare sbagliato, Alberto Moravia. Spagnoli e Portoghesi avevano organizzato bene la loro campagna di disinformazione. Al punto che nello stesso film Mission il superiore dei Gesuiti appare ancora come un complice dei potenti di allora, secondo il modello per il quale, nelle fiction televisive che hanno come eroi marescialli o commissari, i gradi superiori della giustizia - prefetti, magistrati e affini - fanno sempre la parte degli incompetenti succubi del Palazzo.  Fortunatamente uno scrittore meno famoso di Moravia, ma più libero intellettualmente e più preciso nelle sue ricerche d’archivio, Eugenio Corti, ha potuto rilevare che quel superiore non fu affatto un codardo, ma l’ennesima vittima delle manovre del potere che voleva aver man libera con quei poveretti dei locali. Il libro in cui questa storia è raccontata si intitola La terra dell'Indio (edizioni Ares). Lo abbiamo detto all’inizio che la diplomazia ne uccide più della spada.

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