Che fine ha fatto Fabrizio Ferron
Con la maglia dell’Atalanta ha giocato ben 294 partite, nei primi anni Novanta. È arrivato a Bergamo nell’estate del 1988 (appena dopo la fantastica cavalcata in Coppa delle Coppe) e se n’è andato nel 1996, cioè appena prima della stagione che ha incoronato Filippo Inzaghi capocannoniere di serie A con 24 gol. Ragazzo gentile, educato e molto tranquillo, Fabrizio Ferron ha giocato con alcuni dei più grandi calciatori della storia atalantina ma a distanza di anni, il suo ricordo più nitido, riguarda i tifosi bergamaschi.
A Bergamo si va all’Atalanta. «Nel calcio un giorno sei al top e l’altro sei a zero. Io personalmente mi sono trovato a vivere una passione travolgente con la gente bergamasca. C’è una frase che mi è sempre rimasta in testa, la sentii all’inizio della mia esperienza. "A Bergamo, i tifosi non vanno allo stadio a vedere la partita. No. I tifosi, la domenica, vanno all’Atalanta". È qualcosa che non esiste in nessun altro posto in Italia, credo nemmeno in Europa. Questa frase dimostra l’attaccamento che la gente ha verso i propri colori e secondo me è qualcosa di bellissimo». Gli anni sono passati, il telefono insegue la distanza e riesce a rendere fresco e vivo il ricordo dell'ex portiere atalantino, ancora legato alla tifoseria bergamasca. E quando si passa al campo, ci sono tante partite che Ferron identifica come le pù emozionanti mai vissute. Un paio, in particolare, meritano menzione.
L’esordio a Napoli. «Il mio esordio con la maglia dell’Atalanta arrivò subito: era la prima giornata del campionato 1988/89. Giocavamo a Napoli, in panchina c’era Ottavio Bianchi e in campo Maradona e Careca. Doveva scendere in campo Piotti, ma durante il riscaldamento si infortunò e quindi toccò subito a me. Una bella emozione, davanti a 70mila tifosi». Quella gara terminò 1-0 per gli azzurri, l’Atalanta protestò molto per la rete decisiva di Giacchetta (fallo di mano di Maradona). Ma ormai sono passati quasi vent'anni e per Ferron rimane una gara da ricordare per l'esordio in maglia atalantina, la prima di quasi 300 partite.
I miracoli col Milan. Un’altra gara da incorniciare, nella stagione in cui l’Atalanta strappò successi importanti anche contro squadroni come la Juventus in trasferta, è quella di San Siro contro il Milan. La Dea vinse 2-1 con rete di Bonacina allo scadere, ma tutti ricordano almeno cinque interventi decisivi di Ferron. «Era il Milan di Sacchi, giocammo una partita di grande spessore e riuscii a fermare la squadra rossonera in alcune circostanze. Si, anche quella è una delle gare più belle che ricordo».
I suoi allenatori. Fabrizio Ferron ha giocato in carriera con parecchie squadre. Dalla Sambenenettese al Bologna passando per Atalanta, Sampdoria, Inter, Verona e Como il portiere nato a Bollate nel 1965 ha avuto tantissimi compagni ma anche tanti allenatori. A Bergamo hanno potuto sfruttare le sue doti gene come Mondonico, Lippi e Prandelli... Per tutti l'ex-portiere della Dea ha un ritratto. «Mondonico lo definirei sgamato, uno che in ogni situazione ha sempre saputo come gestire le cose. Frosio era una persona seria e leale, forse perfino troppo pura per questo mondo. Bruno Giorgi era un mister di grandissima correttezza, un autentico lord. Marcello Lippi? Beh, è facile. Aveva una voglia matta di arrivare, di fare, di conquistare cose importanti con grande voglia. Lo definirei vorace, calcisticamente parlando. Francesco Guidolin è un allenatore di grande qualità e in quei primi anni, forse, non riusciva ad esprimere al meglio il suo potenziale. Chiudiamo con Prandelli, con lui ho avuto un grande rapporto e posso definirlo un uomo vero. Prima come calciatore, abbiamo giocato due anni assieme, e poi come mister».
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Il compagno più forte. Dagli allenatori ai giocatori, il passo è breve. E anche qui per Fabrizio Ferron gli aggettivi si sprecano. «Dico subito che ne scelgo tre ma non me ne vogliano tutti gli altri con cui ho giocato. Daniele Fortunato era un autentico cervello del calcio, lì in mezzo al campo dettava i tempi e giocava sempre con grandissima attenzione e grande qualità. Glenn Stromberg è l’esempio da seguire, un professionista esemplare in campo e fuori. L’ultimo che nomino è Paolo Montero, l’essenza della cattiveria calcistica nel senso più sportivo del termine. Deciso e determinato, è arrivato a Bergamo a 19 anni ed era già il Montero che tutti conosciamo».
Un pensiero per Pisani. Tra i “non nominati” ci sono ragazzi come Ganz, Nicolini, Perrone, Caniggia e tantissimi altri. Un ultimo pensiero, tuttavia, Ferron lo riserva per un ragazzo dalle grandi qualità che ci ha lasciato troppo presto. «Ho avuto la fortuna di conoscere e giocare con Federico Pisani, un ragazzo splendido che ogni padre avrebbe voluto come figlio. Ce l’ha portato via una tragedia immensa che a distanza di anni è ancora ben impressa nella mente di tutti».
Che fine ha fatto Fabrizio Ferron? Dal passato al presente, Fabrizio Ferron è rimasto nel mondo del calcio e oggi è un punto di riferimento importante per i portieri delle Nazionali. «Dopo aver smesso ho lavorato con Parma, Modena e Pescara sempre seguendo i portieri. Dal 2013 sono nello staff che segue i giovani ragazzi delle Nazionali, la mia squadra di riferimento è l’Under 17. Ma lavoriamo spesso in modo trasversale dagli adolescenti dell’Under 15 fino ai ragazzi dell’Under 19».
La scuola portieri con Cusin. Oltre all’impegno con gli azzurri, Ferron ha fondato anche una sua scuola di portieri con Nello Cusin a Bologna. L’avventura si è dovuta interrompere ma nei pensieri di Ferron c’è tanta voglia di ripartire alla grande. «Si chiamava Scuola Portieri Uno, i risultati sono stati stupendi: nel giro dei primi due anni, oltre 200 ragazzi sono arrivati da noi. La collaborazione con le squadre del territorio è stata molto importante, purtroppo il sisma in Emilia del 2012 ci ha costretto a fermare le attività perché i campi erano saltati e non c’era spazio per continuare. Vorrei riprendere quel discorso, è una cosa che mi sta molto a cuore».
I giovani e Marco Sportiello. L’ultima battuta di Fabrizio Ferron è per l’approccio che serve nella crescita dei giovani. Quello usato dall’Atalanta con Marco Sportiello è l’esempio migliore di come si devono trattare le nuove leve per permettere loro di esplodere. «Nei giovani bisogna credere e bisogna saperli aspettare. Se giocano senza grosse pressioni, se li si tratta con pazienza e dando loro la possibilità di crescere con calma sono sicuro che le qualità emergono. Mettere pressione ai giovani non serve, rendono la metà. Sportiello è l’esempio di questo approccio: a Bergamo hanno avuto pazienza e magari quando c’è stata qualche sbavatura non è stata messa chissà quale pressione. E lui ha superato bene la prima stagione da protagonista in serie A».