Chicco Cerea e la suprema arte di rimanere cuoco (ma del tristellato di Da Vittorio)
A tu per tu con lo chef (che però si considera ancora un cuoco) che ha cucinato per i Grandi della Terra, dalla regina Elisabetta a Obama
di Bruno Silini
Chicco Cerea ha avuto l’onore di cucinare per i grandi della Terra: Bill Clinton, la Regina d’Inghilterra, Barak Obama, Papa Francesco. Tutti, di fronte a tanta perizia culinaria, hanno dimenticato per un attimo le incombenze dell’essere capi di Stato.
Qualche aneddoto?
«La regina Elisabetta ha voluto fare il bis del risotto alla milanese in Prefettura a Milano, trasgredendo al protocollo. Obama in pochi minuti ha mangiato un discreto numero di cannoncini caldi riempiti al momento con crema fredda».
Quale fu la novità che suo padre Vittorio portò a Bergamo nel 1966?
«Ha fatto conoscere il pesce di mare ai bergamaschi, un cibo che non era considerato e apprezzato. Ha avuto coraggio, perché all’inizio è stata dura. Aveva il locale vuoto. Eppure lui ci credeva in questo nuovo prodotto. E infatti il passare del tempo gli ha dato ragione. Come del resto è stato all’avanguardia nell’andare nelle case dei suoi clienti a cucinare per le loro feste private. Fu criticato tantissimo. La stampa di allora riteneva che un ristoratore non dovesse andare in casa d’altri a spadellare. Adesso tutti fanno catering. Però noi siamo arrivati prima degli altri, noi con pochi altri, come il Toulà, il Celeste...».
Avete difficoltà a reperire dipendenti?
«Non è facile, soprattutto dopo il Covid, anche se devo dire che da quell’esperienza drammatica si è innescata un’attenzione maggiore al nostro staff».
Cioè?
«Oltre a condizioni economiche adeguate (un primo impiego è remunerato intorno ai 1.500 euro), giustamente chi lavora da noi ha bisogno di incentivi legati alla carriera che lo possono portare anche a superare i tremila euro al mese. Poi, vede, non è più soltanto una questione economica. Per i nostri dipendenti la cosa più preziosa è il tempo da dedicare a loro stessi per coltivare hobby, passioni e amicizie. Non c’è più gente che accetta di lavorare tutti i sabati e tutte le domeniche. Ed è per questo che abbiamo inserito la turnazione. Detto questo, i nostri dipendenti sono veramente bravi, preparati, acculturati e fanno il loro lavoro con passione».
Qual è stato il momento più difficile della vostra storia?
«Senz’altro quando è venuto a mancare papà Vittorio nel 2005. Abbiamo dovuto riorganizzarci come famiglia».
Si legge sul sito ufficiale: «Integrare la tradizione con le tecniche più moderne». Cosa vuol dire?
«È come giocare a calcio: se non si conoscono i fondamentali, come palleggiare, controllare la palla, è inutile che poi in campo ci si faccia fighi facendo il colpo di tacco. Il “tacchetto” va bene quando sai tenere la palla e la sai far correre fino a fare gol».
Portando la metafora calcistica in cucina, significa?
«Significa pulire le verdure, pelare e tornire le patate, conoscere il taglio della carne e i diversi tipi di pesce, distinguere se è fresco o meno, districarsi con le cotture delle paste, dei risotti (...)
è un'eccellenza Bergamasca,ma rimane sempre umile e concreto lavorando con onestà per bene della sua azienda e dei suoi dipendenti,COMPLIMENTI VIVISSIMI