Don Vinicio festeggia cinquant'anni da prete e lascia le Grazie: «È tutto una meraviglia»
«Il 30 marzo, giorno del mio compleanno, arriva il vescovo e mi dice: “Adesso, a 75 anni, che cosa desideri fare?”. “Quello che vuole lei!”. Ho sempre risposto così... Il vescovo mi ha abbracciato»
di Ettore Ongis
Don Vinicio Corti, 75 anni, festeggia oggi, sabato 25 giugno, alle Grazie (alle 18) e domani, alle 16, allo Zuccarello, i suoi per i 50 anni di sacerdozio (è stato ordinato il 24 giugno 1972). Due traguardi importanti per un uomo semplice che di fede ne ha da vendere. Una fede profonda, da bambino. «Il 30 marzo, giorno del mio compleanno, arriva il vescovo e mi dice: “Adesso, a 75 anni, che cosa desideri fare?”. “Quello che vuole lei!”. Ho sempre risposto così... Il vescovo mi ha abbracciato. Magari andrò in Piemonte, ad Alba, dove c’è un santuario. Poi al vescovo ho aggiunto: “Io in genere vado a mangiare al Patronato, col don Davide, che appena saputo della mia età da pensione ha esclamato: "É ché de mé, dòpo te ’ndaré ’ndo te gh’é òia". C’è una stanza libera addirittura sopra la tomba del don Bepo».
E quindi saresti contento di andare al Patronato? (con don Vinicio ci conosciamo da anni, per questo ci diamo del tu, ndr).
«Come vuole il Signore, per me è tutto una meraviglia».
Di che meraviglia parli?
«La Santissima Trinità mi affascina sempre di più. Come dice Sant’Agostino: "Amante, amato, amore. Tutto ciò che esiste è fatto a coppie e la coppia genera la terza creatura"».
Hai scelto come immaginetta del cinquantesimo una messa che hai celebrato all’ombra del Cervino.
«Il Cervino è una piramide, simbolo della Trinità».
Com’è andata in questi cinquant’anni?
«Penso che tutto sia solo grazia, che io debba solo ringraziare. Da piccolo dicevo: chissà se il Signore mi chiamerà. Non mi ha chiamato con la voce, come Samuele nella Bibbia. Mi ha chiamato in tanti avvenimenti: mia mamma, un frate, padre Efrem, morto in un incidente che penso abbia dato la vita per me. Poi il Signore mi ha aspettato dopo tre anni di avviamento industriale. Un giorno mia mamma mi ha portato dal curato e lui mi fa: “Vuoi andare in Seminario per amore del Signore?”. Sono andato».
E poi?
«Dieci anni di preghiere, di pianti. Fino al giorno in cui monsignor Angiolino, che da quarant’anni viveva in Seminario, mi ha detto: “Il Signore ti chiama a essere prete”. Spaventato, ho risposto: “Farò il segno della croce ogni mattina per avere questa grazia". Da cinquant’anni ogni mattina faccio il segno della croce».
E i tuoi come l’hanno presa?
«Mia mamma voleva andare suora, ma mio nonno le disse: “Sposati!”. Lei andò a parlarne con don Carozzi, che era compagno di Papa Giovanni. “Perché ti sposi?”. “Perché me l’ha detto mio papà”. “E cosa ti metti in testa?”. “Pensavo un velo nero”. “No, devi mettere un velo bianco, magari anche una salvietta, ma che sia bianca!”. Mia mamma si sposò e la suora che l’attendeva in convento le disse: “Tu non hai potuto farti religiosa, ma il Signore ti darà un figlio prete"».
Andiamo avanti.
«Quando sono stato battezzato passa un sacerdote e chiede: “Come si chiama questo bambino?”. “Vinicio”. “Sarà don Vinicio”. Vedi, è tutta Sua grazia. È come la musica. I miei erano tutti musicisti e mi mandarono a imparare la fisarmonica. Ogni volta mi dicevano: studia di più, studia di più. Io non studiavo mai, ma ho imparato lo stesso».
Mai avuto ripensamenti?
«Sull’immaginetta della prima messa avevo messo: “Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio”. È Lui che ti recupera sempre. Se il mio amore non è da Dio, la vita è tutta un peccato. Quando sono via, disorientato, è Lui che viene a ripescarmi. L’iniziativa è sempre Sua. È tutto una meraviglia».
Ma tu questa meraviglia la vedi?
«Sono stato colpito dal Covid e per sedici giorni ero bloccato, andava male tutto. Ma se io ho i Suoi pensieri, ripeto le Sue parole e faccio le Sue azioni, Lui agisce. Non dobbiamo fissarci sulla guerra, dobbiamo guardare al Signore. Lui solo è il re della pace. Come ha detto monsignor Ottolini domenica scorsa a Messa, noi dobbiamo solo consegnare i nostri pochi pani al Signore, poi pensa a tutto Lui».
La tua carriera non è stata brillantissima, non sei neanche diventato parroco...
«Non so come vanno quelle cose lì. Mi hanno detto che in tre giorni avrei mangiato fuori la parrocchia».
I preti sono durissimi nei giudizi. Come ti hanno definito?
«Ho ricevuto vari titoli onorifici. Quello più ricorrente è che "só ’mpó fò de có"».
Non ti è dispiaciuto non avere una parrocchia tua?
«Ma io sono attorniato da fratelli santi. Hai presente che tu, Ettore, sei venuto qui nel giorno di Sant’Ettore? Su 365 giorni sei arrivato qui oggi: chi è che dirige la storia?».
Be’, è un giorno come un altro…
«Neanche diecimila computer della Nasa avrebbero potuto prevederlo. La nostra storia è una storia sacra». (...)