Elogio di Francesco Totti
Partiamo da un semplice concetto: quando si parla di certi giocatori si trascende la fede. Si deve trascendere la fede. Quindi, quando si parla di Francesco Totti, che si abbia il cuore a tinte giallorosse o meno conta veramente poco. Anzi, non un conta nulla. Francesco Totti è l’emblema dell’ “impossible is nothing”. Perché, detto tra noi, l’impossibile è tale e tale resta per noi normali esseri umani, ma, per alcuni, non è così, e l’impossibile diventa solo la sfida successiva. L’impossibile, quando uno ha un talento così cristallino, muta, evolve, non è mai statico, non è mai irraggiungibile e non raggiunto. Totti è questo, semplicemente: osservare un talento in costante movimento. Martedì 30 settembre, in una (stranamente non piovosa) serata di Manchester, ha segnato il gol che lo ha fatto entrare, per l’ennesima volta, nella storia. A 38 anni e 3 giorni è il giocatore più “maturo” ad aver mai segnato in Champions League. È stato il suo primo gol in terra inglese, il suo 290esimo con la maglia della Roma.
Se si parla di quella sublime opera artistica del calcio in movimento che è Francesco Totti, bisogna partire da un dato di fatto: il calciatore Totti ha vissuto due vite. Una prima, fino all’era Capello, da classico numero 10 e una seconda, dall’era Capello a oggi, da 9 e mezzo. Per paradosso però, per capire realmente Totti, non si può prescindere da nessuna delle sue due vite, perché l’una è il perfetto completamento dell’altra. Nel Totti 10 c’era già il “killer instinct” (come amano oggi dire certi giornalisti) della punta, mentre nel Totti 9 e mezzo c’è ancora l’amore per il calcio barocco ed esteticamente illuminante del trequartista. Inutile girarci intorno, l’attaccante giallorosso ha saputo evolversi, ha avuto l’intelligenza di adattare le sue qualità al normale tramonto del fisico ma, soprattutto, al meno normale tramonto del calcio nostrano. Totti, infatti, diventa calciatore negli anni d’oro della Serie A, negli anni in cui, se non avevi veramente talento, era impossibile issarsi sopra la media. Se Totti è diventato il calciatore che è oggi è perché ha affinato il suo talento partita dopo partita, dribbling dopo dribbling, assist dopo assist. Grazie a questo continuo lavoro di cesellamento della propria classe, ha saputo adattarsi al progressivo mediocrizzarsi del nostro calcio. Per una sorta di pena del contrappasso, oggi, in Serie A, il talento non può bastare, perché le tattiche difensive sono studiate nei minimi dettagli, quasi ossessive, e la fisicità, spesso, conta più di un piede delicato e raffinato. Totti l’ha capito e al talento ha unito l’intelligenza tattica e la muscolatura.
Del resto suo maestro fu Zeman, il primo a capire che la classe innata di quel biondino dallo sguardo malandrino, che già faceva perdutamente innamorare migliaia di donne, da sola non poteva bastare. Servivano resistenza e muscoli, servivano polmoni e gambe. Con Zeman, Totti completò quel processo di maturazione che aveva iniziato con Carlo Mazzone, il suo papà calcistico, quello che in lui vedeva il futuro campione, quello che gli ha trasmesso la fiducia nei propri mezzi e la sicurezza necessaria per sfondare nel calcio che conta. Prima c’erano stati Boskov e Liedholm, ma anche Carlos Bianchi, la sua prima vera difficoltà della carriera. L’allenatore argentino, infatti, non riteneva Totti pronto e sarebbe stato ben contento di cederlo alla Sampdoria. Grazie al cielo, l’allora presidente Franco Sensi bloccò tutto. Qualche mese dopo (era l’estate del 1996) Bianchi tornò in Argentina e Totti rimase. Per sempre. La prima volta in cui indossò la fascia da capitano fu il 31 ottobre 1998, Roma-Udinese 4-0, doppietta dell’allora 22enne made in Roma. Aldair, quando uscì dal campo, consegnò a Totti la fascia da capitano. Fu amore a prima vista.
Il Totti capitano visse lo scudetto della fantastica Roma di Capello e l’altalenante era di Spalletti. Ma allora, Totti, era già Totti: il Pupone, certo, con quella faccia da ragazzetto di borgata, ma calciatore sopraffino fatto e finito, leader fuori dal campo e soprattutto in campo. Con la maglia azzurra versa le lacrime dell’Europeo 2000, quello del «mo’ je faccio er cucchiaio» a Van der Saar nella semifinale contro l'Olanda e che gli fa veramente il cucchiaio prima di piangere al golden gol di Trezeguet in finale; ma versa anche le lacrime di Berlino, nella fantastica notte stellata di luglio 2006.
Totti è anche stato l’emblema della visione ignorante del calcio, quella che siccome uno corre in pantaloncini dietro ad un pallone non può avere un QI decente, quella che un calciatore può stare insieme solamente ad una soubrettina senza arte ne parte. Ma Totti ribalta tutto, anche qui, trasformando l’ironia nei suoi confronti in un successo letterario con pochi precedenti (i cui guadagni sono andati tutti in beneficenza) e sposando Ilary Blasi, ex Letterina e oggi conduttrice televisiva di successo, dando vita ad una delle unioni “vip” più durature e ammirate. Totti è il calciatore che, per amore, ha accettato di dire addio a Pallone d’Oro e palmarès per rimanere per sempre legato ai due colori che hanno scandito gli istanti di tutta la sua vita: il giallo e il rosso. Totti poteva andare al Real Madrid, Totti poteva vincere più di chiunque altro, Totti poteva far sognare ogni città avesse voluto. Ma ha scelto Roma all’età di 13 anni e l’ha scelta per sempre, l’ha scelta per battere tutti i suoi record: secondo miglior marcatore della Serie A, alle spalle di Piola; al sesto posto tra i marcatori italiani più forti di tutti i tempi; nella top ten della presenza assolute in Serie A; nel decennio 2001-2011 ha segnato 145 gol, migliore in assoluto; è il giocatore con più presenze e più gol nel derby; è il romanista più prolifico nelle competizioni europee.
Totti è una serie di gol uno più bello dell’altro, è assistere a qualcosa di anormale (in senso positivo), è un rivoluzionario del pallone, è un cucchiaio da 20 metri a Julio Cesar a San Siro, è un pallonetto a Marchegiani in un derby della stagione 2001/2002, è un diagonale al volo da posizione impossibile che trafigge il portiere della Sampdoria. Totti è un dito in bocca e un braccio alzato al cielo, è un sorriso beffardo all’avversario appena dribblato, è un un murales al rione Monti di Roma. Totti è ciò che di bello ci ha offerto il calcio e ciò che di bello c’è ancora nel calcio. E scusate se è poco.