Esiste un altro Sant'Alessandro
Dopo avervi svelato che come alfieri del nostro patrono, Sant’Alessandro martire o da Bergamo, vi sono bel altri 12 santi e martiri dispiegati in toni mesti e mistici nell’abside della nostra cattedrale - quello che forse non sapete o che non vi siete mai chiesti è il perché l’alfiere della legione tebea sia detto “da Bergamo”. Era forse un orobico? Aveva avuto natali bergamaschi? Gli era stata concessa la cittadinanza bergamasca ad honorem? O che altro? Ma no! Semplicemente questa specifica lo distingue, rendendolo subito riconoscibile, dal suo omonimo, Sant’Alessandro Sauli, religioso e teologo italiano dell'Ordine dei Chierici Regolari di San Paolo, docente universitario di teologia e di filosofia a Pavia, vescovo di Aleria e poi di Pavia.
Sant'Alessandro nella bifora dell'aula della Curia, la più antica raffigurazione del santo.
Sant'Alessandro, nella sagrestia del Duomo.
Sant'Alessandro da Bergamo. Del nostro Sant'Alessandro si sa che visse nel III secolo dopo Cristo, durante gli anni delle persecuzioni di Massimiano e che da questi venne condannato alla decapitazione intorno al 298 d. C. Visto che la sentenza era stata consumata a Bergamo, dove ancora oggi la tradizione venera la colonna alessandrina della decapitazione irta sul sagrato della Basilica di Sant’Alessandro in Colonna in Borgo San Leonardo, e che a Bergamo la sua opera di persuasione alla conversione ebbe più adesioni e fu la causa del suo truce martirio. Di Bergamo, quindi, Alessandro ha assunto la cittadinanza onoraria, un po' come è successo a Sant'Antonio da Padova o a San Nicola di Bari, il primo di origine portoghese, mentre il secondo nordico.
Sant'Alessandro Sauli di Milano. L’altro Alessandro, invece, è Sant’Alessandro Sauli di Milano, proclamato beato il 23 aprile 1741 da papa Benedetto XIV e canonizzato l'11 dicembre 1904 da papa Pio X. Era figlio dei nobili genovesi Domenico e Tommasina Spinola, ma nacque a Milano e ancora bambino venne ammesso come paggio al seguito dell'imperatore asburgico Carlo V. Forse per i tempi bui della Riforma che si trovò a vivere e contrastare o forse per quelli più definiti della Controriforma, che contribuì a sostenere e a diffondere strenuamente e per tutta la vita, all'età di diciassette anni decise di entrare tra i Chierici Barnabiti e, dopo gli studi istituzionali compiuti a Pavia, venne ordinato sacerdote il 24 marzo 1556. Fino al 1567 si divise tra Pavia e Milano: nella prima fu professore di teologia e filosofia, mentre nella città meneghina svolse un mirabile servizio pastorale, guadagnandosi la fama di grande predicatore, perennemente intento ad infondere i dettami del Concilio tridentino. Questo suo onere, profuso in maniera convinta e decisa, lo fece scegliere come confessore dai cardinali Niccolò Sfondrati, il futuro papa Gregorio XIV, e dell’arcivescovo di Milano Carlo Borromeo, di cui divenne stretto collaboratore.
Eletto Superiore Generale del suo ordine, nel 1570 papa Pio V, su suggerimento del Borromeo, lo elesse vescovo della diocesi corsa di Aleria, al fine di riorganizzare un territorio isolano e isolato: le sue missioni parvero chiare e scontate sin da subito, ovvero l'introduzione delle riforme del Concilio di Trento in materia di disciplina del clero e la promozione delle missioni popolari per la formazione catechistica dei laici. In Corsica rimase per oltre vent'anni, fino a che il 20 ottobre 1591 venne trasferito nella più prestigiosa sede vescovile di Pavia, dove si spense solo un anno dopo, durante una visita pastorale a Calosso (Asti).