Festa della Dea, festa di un popolo

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L'edizione è la numero 13, scatta il 17 luglio e si conclude il 22. È molto probabile che batta il record di affluenza stabilito l'anno scorso quando, nell'arco di una settimana, quasi 60 mila persone hanno affollato l'area dell'Orio Center. La Festa della Dea è un evento unico per il calcio italiano ed è, innanzitutto, una festa di popolo nell'accezione più completa del termine. Lo sanno per primi i ragazzi e le ragazze della Curva Nord che, a centinaia, lavorano giorno e notte, gratis, per il gusto di esserci, per la passione che li accomuna, per il piacere di stare insieme.

Nessun trattato para-socio-psicologico, nessuna concione di tuttologi un tanto al chilo, può spiegare a sufficienza il successo di un'iniziativa che richiama irresistibilmente la gente atalantina. Uomini, donne, vecchi, bambini, tifosi, simpatizzanti, curiosi, agnostici e fedelissimi, radunati in un'atmosfera più unica che rara in questi tempi in cui grande è il disordine sotto il cielo, ma la situazione non è eccellente.

Certo, c'è la possibilità di incontrare i giocatori, l'allenatore, i dirigenti con il gran finale riservato a Percassi, il cui discorso della corona chiude la Festa e apre la stagione.

C'è l'onda dei ricordi da cavalcare, ritrovandosi a faccia a faccia con gli uomini che dell'Atalanta hanno fatto la storia oppure il tributo da riservare a chi se n'è andato per sempre, ma è come se fosse sempre qui.

Ci sono i dibattiti sui temi che stanno particolarmente a cuore al mondo ultrà: l'articolo 9, il daspo, la tessera del tifoso che non è servita a nulla, l'incapacità di uno Stato imbelle di punire chi ne infrange le leggi, senza criminalizzare intere tifoserie, facendo finta di non sapere che se non ci fossero i tifosi, il Sistema sarebbe già crollato da tempo..

Per non dire di quanto faccia discutere l'anno zero del nostro calcio, dopo il disastro brasiliano e in attesa dell'11 agosto, quando verrà eletto il nuovo presidente della Figc e capiremo tante cose. Anche se troppe abbiamo già cominciato a capirle, in questi giorni alluvionati dalle chiacchiere inversamente proporzionali ai programmi.

Chi vuole conoscere il mondo ultrà nella dimensione nerazzurra, ma anche, chi vuole misurare che cosa siano la vera passione e il vero entusiasmo per l'Atalanta, deve andare alla Festa della Dea. Lì non c'è il calcio spezzatino, lì non ci sono i quaquaraquà che ammorbano un calcio capace di perdere 6 milioni di spettatori negli ultimi sei anni e non sa più che cosa sia la gioia di vivere con sentimento questo sport straordinario. La Festa della Dea è la festa di un popolo che non dice: vado allo stadio, ma vado all'Atalanta. E tutto è chiaro.

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