Che fine ha fatto Ringo Starr
È un po’ come un gioco. Quando si tenta di ricordare la formazione fantastica dei Beatles, il nome di Ringo Starr c’è sempre, troppo particolare per dimenticarlo. Ma poi, quando si tenta di focalizzare un’immagine, è tutto inutile: ritornano il sorriso di Paul McCartney, lo sguardo perso di John Lennon, il volto smilzo di George Harrison… e basta. Ringo Starr c’è stato, si sa, ma è come se in pochi lo ricordassero. Eppure, allora, nei magici anni ’60 dei Fab Four, lui era una vera star insieme ai suoi compagni, un ingrediente fondamentale di quella ricetta perfetta. Forse, il vero motivo, è che mentre gli altri tre ex compagni di musica hanno continuato, anche dopo lo scioglimento del gruppo nel 1970, a tener vivo il legame del proprio nome all’icona Beatles, Ringo Starr ha preferito di no. I Beatles son stati un capitolo. Meraviglioso, ma un capitolo finito. Era ora di andare avanti, per i fatti propri. Per questo, quando oggi si pensa ai Fab Four, il primo pensiero è che l’unico rimasto è Paul McCartney, lasciando nel dimenticatoio quel batterista dalla bottiglia facile. Che invece c’è ancora. Già, ma che fa?
Peace & love. A ritrovare oggi Ringo Starr è stato il mensile di attualità e moda GQ. Il batterista, all’anagrafe Richard Parkin Starkey, è ancora tremendamente rock. Ha sempre detto di essere andato oltre i Beatles, ma non per questo di aver abbandonato il cuore che aveva guidato i Beatles, il cuore pulsante degli anni ’60, tra hippie e rock della prima ora. Non amando particolarmente i fiori, Ringo Starr è un rocker vero: occhiale scuro, chiodo sulle spalle, barba incolta e blue jeans. Ma, soprattutto, vive ancora immerso, profondamente, nell’idealismo degli anni ’60, quelli del “Peace & Love” e due dita in segno di vittoria, con il palmo rigorosamente rivolto verso l’altra persona a differenza di come tanti, invece, fanno oggi, perdendo totalmente il significato che aveva negli anni in cui quel gesto nacque. Un piccolo segno, certo, ma che è alla base del progetto che sta portando avanti Ringo Starr con lo stilista americano John Varvatos, vero feticista del rock style d’annata e che dopo aver avuto come testimonial i Kiss, Jimmy Paige e Slash, ha deciso di puntare sul Beatle dimenticato. E Ringo Starr ha accettato, ma non perché voglioso di rientrare in quell’Olimpo del rock da cui, troppo spesso, viene escluso dalla memoria comune, bensì perché così avrebbe potuto aiutare anche la sua fondazione, la “Ringo Starr Peace & Love Fund”, che punta all’uso della meditazione trascendentale per curare le vittime di stress post traumatici. Pubblicità e beneficenza: Varvatos lancia la sua campagna con Ringo Starr protagonista e promette che per ogni selfie con il gesto della pace targato dall’hashtag #peacerocks, donerà un dollaro a favore della “Ringo Starr Peace & Love Fund”.
Tra passato e presente. Ma in passato, Ringo Starr, è stato tanto altro, molto più di un'immagine per il sociale, già prima di entrare nei Beatles. La credenza popolare vuole che quel batterista un po’ così sia stato il più fortunato dei Fab Four: quello con minor talento trovatosi, quasi per caso, nei Beatles. La credenza popolare, però, sbaglia. Come diceva Lennon, «Ringo era una star già prima di unirsi ai Beatles». A Liverpool, in effetti, Ringo Starr era decisamente conosciuto quando nacquero i Beatles ed entrò a far parte di quel gruppo in rampa di lancio solo perché il manager Brian Epstein decise di sostituire il primo batterista, Pete Best, ritenuto non all’altezza, con Ringo, già volto noto. Probabilmente, senza di lui, i Beatles non sarebbero mai stati i Beatles, come una buona ricetta non rimarrà mai tale senza uno dei suoi ingredienti, anche il meno importante. Certo, non aveva la creatività dei suoi colleghi forse (firmò solo due brani tra tutti i successi dei Fab Four), ma sapeva vivere anche senza essere un Beatles. Come ricordano in tanti, Ringo Starr era un po’ “il cazzone” del gruppo, quello più scalmanato: amava la bottiglia e le attenzioni della fans. Di fans ne ha sposata anche una e ci ha fatto tre figli.
Poi, chiuso il capitolo Beatles, ha provato a lasciar la sua firma sul muro dei grandi creativi, ma con pochi riscontri: fece diversi dischi da solista, un paio buoni, la maggior parte dimenticabili; divenne pittore, ma i veri pittori sono altri; recitò in diversi film, ma senza interpretazioni degne di nota. Sul set incontrò la sua seconda e attuale moglie, quella Barbara Bach che ha fatto girare la testa a tanti nei panni della Bond girl in La spia che mi amava e che l’ha aiutato a gettare via la bottiglia: non tocca alcol dal 1989 e chiede, gentilmente ma con fermezza, che nessuno in sua presenza beva alcolici. Ha vissuto da Richard Parkin Starkey più che da Ringo Starr, senza far mai pesare il suo passato da Beatle nelle sue avventure lavorative post-Fab Four. È uno che sa di essere stato fortunato e che oggi tenta di aiutare gli altri per quanto possibile, rivalutando magari proprio il suo essere un Beatle dimenticato per raccogliere un po’ di donazioni per i meno fortunati. Ma la miglior descrizione di chi è Ringo Starr oggi, la offre, sempre per GQ, il suo grande amico e regista (oltre che produttore, sceneggiatore, pittore, musicista, eccetera eccetera) David Lynch: «Quando penso a Ringo, penso: "Ecco un uomo felice e in pace con se stesso". Uno che quando parla di pace e amore lo fa con il suo esempio, con la sua stessa vita. È una grande persona. E un grandissimo batterista, non dimentichiamolo». Un grandissimo batterista, il batterista dei Beatles.