Le frustate del ct Conte e l'esempio dell'Atalanta
Antonio Conte è un signore che non le manda a dire. Solo per questo, merita la più grande considerazione nell'ipocrita mondo del calcio italiano dove in troppi badano ai propri affari e se ne infischiano della Nazionale.
La durissima filippica di Genova è lì a dimostrarlo. «Il calcio italiano non insegna a faticare. Non ho tempo per aspettare Balotelli. Nessuno aiuta l'Italia ed è incredibile come, per i prossimi quattro mesi, non possa lavorare con gli azzurri. Quando cominciamo a riscoprire l'amore per la Nazionale? Veniamo visti come un fastidio e così non va bene. Sto cercando di difendere un movimento che rischia l'estinzione».
Passato dall'altra parte della barricata, dopo gli anni d'oro della Juve durante i quali l'interesse bianconero è sempre venuto prima di quello nazionale, Conte ha scoperto quanto duro sia il mestiere del ct. Ma c'è dell'altro. C'è, alle viste, il progetto che la federcalcio presenta per ridurre le rose dei club professionistici a 25 giocatori con inserimento di almeno 4 tesserati cresciuti nel vivaio e altri 4 di formazione italiana. Sono le norme Uefa: meglio tardi che mai, il Sistema le adotta, nel tentativo di arginare la caduta del livello qualititativo e spettacolare del quinto campionato europeo dopo che, alla fine del XX secolo, era stato indubitabiilmente il primo. Per fortuna, ci sono club virtuosi che nella forza dei vivai hanno sempre creduto. Fra questi, l'Atalanta: 7 dei 28 giocatori in organico sono figli di Zingonia. L'Empoli ne conta addirittura 10. L'esempio della società bergamasca che, da sempre, nel settore giovanile trova la propria linfa e la propria forza, è sotto gli occhi di tutti. Basterebbe copiare. Anche se di Favini ce n'è uno. E, grazie a Dio, è atalantino.