Una storia di guarigione

Giada da bruco a farfalla: «Così sono uscita dall'anoressia». E lo racconta su Instagram

23 anni e 17mila followers: «Le cene di Natale erano un incubo, oggi una gioia immensa. I social mi avevano rovinato la vita, poi è arrivato Nicholas»

Giada da bruco a farfalla: «Così sono uscita dall'anoressia». E lo racconta su Instagram
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di Andrea Rossetti

In questi giorni di gelo, nei quali gocce ghiacciate accarezzano le nostre vite accompagnandoci verso il Natale, c’è anche chi quel gelo lo sente sempre dentro di sé. Persone alle quali le carezze, quelle vere, servirebbero più che mai. E per le quali le festività rappresentano un incubo fatto di paure e mostri. Mentre spiega tutto questo, Giada Salvi fa delle piccole pause. Eppure a lei non fa certo difetto la parola, ama raccontare e raccontarsi. Si definisce «logorroica», ma non lo è. È appassionata, semplicemente. Perché nella foresta nera dei disturbi alimentari ci è passata, l’ha attraversata tutta, perdendosi in quei sentieri gelidi e cedendo, talvolta, a paure e mostri. Ma alla fine ne è uscita e ora, seppur giovanissima, sta provando ad aiutare altre persone che, a differenza sua, ancora non ci riescono.

Giada ha 23 anni, è di Bergamo e su Instagram vanta quasi diciassettemila followers. Studia Psicologia, un percorso universitario avviato proprio nei giorni in cui, con forza, riprendeva in mano la propria vita.

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Giada oggi

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Giada con il fidanzato Nicholas

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Giada durante il periodo più nero

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Giada durante il periodo più nero

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Giada durante il periodo più nero

Quando hai iniziato a soffrire di disturbi alimentari?

«Intorno ai 18 anni. Ricordo perfettamente la festa per il mio diciottesimo, il terrore con cui osservavo la torta: l’avrei dovuta mangiare. Come tutte le malattie, però, anche i disturbi alimentari hanno un periodo di incubazione».

In che senso?

«Sono espressione di un malessere più profondo. Non ti rendi conto di essere arrivata a quel punto finché non comprendi quando e dove tutto ha avuto inizio».

Si dice che essere consapevoli di avere un problema sia il primo passo per risolverlo.

«Esatto. Ricordo che la mia migliore amica delle superiori soffriva di anoressia nervosa. Fu ricoverata per quasi due anni. Io pensavo anche che a me non sarebbe mai successo. Rifuggivo totalmente l’idea».

E invece...

«Invece è successo. Per motivi diversi, ma è successo. Arrivai a pesare 40 kg per 170 cm di altezza. Ero scheletrica».

Cosa ti portò a quel punto?

«Le radici del mio malessere, come spesso accade in questi casi, affondano nell’infanzia, in particolare nel rapporto che avevo con mio padre. Un uomo autoritario, freddo, distaccato. Anaffettivo. Essendo figlia unica, agiva da “padrone” su di me, era ossessionato dal controllo e mi faceva sentire inadeguata sempre. Tutto questo, col passare degli anni, l’ho introiettato: sono diventata io stessa, nei miei confronti, ossessiva. Dovevo controllare tutto, dovevo essere perfetta. E questo atteggiamento l’ho proiettato sul cibo e sul fisico».

Quanto è contato il fattore estetico, la ricerca di un’adeguatezza estetica?

«Molto. E i social sono stati, in quegli anni, la mia rovina».

Perché?

«Passavo ore e ore su Instagram. Ero bombardata da modelli estetici forzati, sbagliati. Corpi perfetti, video di fitness. In più i social sono pericolosissimi: non fanno altro che riproporti ciò che cerchi, anche se ti fa del male».

La cosiddetta “camera dell’eco”: ti offrono solo informazioni e idee affini alle tue.

«Esattamente. Inoltre, anche se si parla di pochi anni fa, allora c’era una sensibilità diversa sul tema. Il problema non è stato risolto, ma almeno oggi c’è più attenzione».

Tu stessa adesso utilizzi molto i social, però. Sei seguitissima.

«Anche lì ho dovuto seguire un percorso. Ero diventata dipendente e così decisi di andare completamente off-line. Per otto mesi ho spento tutto. Quando mi sono sentita pronta, sono tornata su Instagram e ho sentito il bisogno di raccontarmi. E ho capito di poter essere di aiuto a tanti».

Ti scrivono molte persone?

«Sì, in centinaia. Non sono un medico, ovviamente. Non mi permetterei mai di proporre cure o diagnosi. Ma consigli sì, sempre legati alla mia esperienza personale».

E chi ha aiutato te, invece?

«Sono stata fortunata, perché la mia famiglia mi è stata vicina sempre. Anche mio padre. Ma la prima persona che mi ha aperto gli ho occhi è stato Nicholas, il mio fidanzato». (...)

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