i 70 anni di Rombo di tuono

Gigi Riva, di cui Brera scrisse: ha una gamba sola, non sfonderà

Gigi Riva, di cui Brera scrisse: ha una gamba sola, non sfonderà
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Era stato Gianni Brera a trovargli quel soprannome, Rombo di Tuono, perché diceva che quando calciava di sinistro sembrava arrivasse il temporale. Oggi che fa settant'anni, Gigi Riva è una tempesta lontana, un cielo livido che guardiamo allontanarsi dal davanzale di una finestra. Ne osserviamo la magnificenza, e la potenza, ricordandoci di quanta eleganza possa esserci nella furia degli elementi. Anche nei suoi gol ce n'era moltissima, duecentocinquanta distribuiti tra Legnano, Cagliari e Nazionale. Pensare che appena cinque anni prima lo stesso Brera scrisse che uno così non sarebbe andato da nessuna parte: «Ha una gamba sola, visto che l'altra la usa solo per salire sul tram».

Segnato dalla morte della sorella e dei genitori durante l'adolescenza, quando aveva deciso di provare a giocare a pallone in Sardegna la famiglia gli disse: «Ma cosa vai a fare su un'isola, è meglio se resti qui a lavorare». All'epoca al massimo ci finivi da carabiniere o se avevi combinato qualche guaio durante il militare. Invece Riva era attirato da quella terra circondata dai mari, una terra che diventò il suo regno, la sua patria, la sua casa. Così era partito da Leggiuno, e non più tornato. Con il Cagliari, nel '70, vinse anche lo scudetto, ancora oggi simbolo di un calcio controcorrente, che sovrasta ogni gerarchia e dimostra che il calcio non è solo un affare da superpotenze. «All'inizio i tifosi mi guardavano storto perché preferivano Tonino Congiu, l'attaccante di casa a cui avevo preso la maglia numero undici». Dopo due gol al Napoli, in Serie B, nel '63, tutto cambiò, e dal cuore della gente Riva non è più uscito. «In giro per l'Italia ci gridavano ladri, banditi, pecorai. E noi, per tutta risposta, giocavano ancora più forte».

Riva è stato l'orgoglio di un'isola che è sempre stata un po' un continente, una terra di artisti e musicisti, ma anche di gente che ti scruta dentro prima di donarti  l'anima. «Negli occhi dei sardi non leggevi la felicità del tifosi, ma l'orgoglio». Dopo è successo anche con la Nazionale. In maglia azzurra ancora oggi è il capocannoniere con trentacinque gol in quarantadue partite, nessuno è ancora riuscito a fare meglio di lui. Ha vinto l'Europeo del '68 (giocò solo la ripetizione della partita contro la Jugoslavia) e quel giorno del '70, all'Azteca, contro la Gemania, c'era anche lui. Riva segnò il gol del momentaneo 3-2 per l'Italia nei tempi supplementari, e questo resterà nella memoria per sempre.

Ha smesso troppo presto, Gigi, il temporale è passato così in fretta che ci ha lasciato un fondo di malinconia. La stessa che, ancora oggi, circonda la figura di Rombo di Tuono. Albertosi e Tomasini, e anche altri, ci provano a chiamarlo, una telefonata, per fargli gli auguri: settanta sono un bel traguardo. Ma il telefono squilla, «si capisce che lui c'è, ma non risponde». Zeffirelli gli chiese di fare San Francesco in "Fratello sole, sorella luna", ma Riva rifiutò. Come disse di no alla Juventus. Quella volta per portarlo via da Cagliari misero sul piatto una cifra così alta che persino la famiglia gli disse di accettare. Riva rispose che calciatore lo era già, doveva ancora diventare uomo. «Avrei voluto che mio padre e mia madre vivessero un po' di più, per vedere quello che ho combinato». Solo nel 2005 il Cagliari decise di ritirare la sua maglia, la numero 11. Successe in occasione dell'amichevole tra l'Italia e la Russia, l'unica in cui Riva si presentò allo stadio. Non lo frequentava più dagli anni Ottanta. Una volta ha detto: «Non ho avuto una grande infanzia, tutto parte da lì, il resto me lo sono creato da solo».

La storia di Gigi Riva da "Sfide".

 

http://youtu.be/N0u_xusQxgk

 

 

Il ritratto di Gigi Riva dello scultore Luigi Oldani.

GigiRiva

 

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