Gigi Riva: «Oggi sono tutti giornalisti. E così il nostro mestiere muore»
Cronista «fin dalle elementari» e scrittore di successo, è una delle voci autorevoli più della stampa italiana. Il suo amore per il "mestieraccio"
di Bruno Silini
Per Gigi Riva, il giornalismo è stata una passione coltivata fin dalle elementari. Aveva solo 10 anni quando pubblicarono il suo primo articolo su una testata locale, il Giornale di Bergamo.
Precoce, direi.
«Raccontavo la storia di una mia compagna di classe. Era malata e, non potendo venire a scuola per sostenere l’esame di quinta, la commissione andò a casa sua».
Da lì ha continuato?
«Sì. Mentre frequentavo il Sarpi, al pomeriggio andavo al Giornale di Bergamo a fare “l’abusivo”. Scrivevo di cronaca della provincia, soprattutto nera. Mi davano ventimila lire al mese».
Il suo ultimo libro, Ingordigia, racconta il caso di Massimo Bochicchio, il broker dei vip. Un tema atipico per lei, che del raccontare la politica e le guerre ha fatto il suo leitmotiv professionale. Perché questo cambio di binario?
«È una cosa che avevo in testa di fare prima o poi, ovvero raccontare che cos’è la globalizzazione finanziaria, la quale rappresenta uno dei motivi per cui la forbice tra ricchezza e povertà si è allargata nel mondo a beneficio dei ricchi. Attraverso il caso Bochicchio, raccontato come fosse un romanzo, ho denunciato che cos’è la finanza globale, la finanza di rapina dove conta solo il denaro e non le persone».
Bergamo è una città ingorda?
«È solo apparentemente ingorda. Abbiamo questa fama di gente che pensa solo alle palanche. Poi, però, tutto si scontra leggendo alcune statistiche che dicono come i bergamaschi siano tra i più solidali d’Italia. Penso alle donazioni di sangue e alle persone coinvolte in attività umanitarie. Per vent’anni ho fatto l’inviato di guerra e posso testimoniare che non c’è un posto dove non abbia trovato dei bergamaschi che andavano a portare aiuto».
Se ingordi sono solo in apparenza, quali difetti veri hanno i bergamaschi?
«L’eccesso di umiltà che ci porta a non valorizzare quello che abbiamo, soprattutto la bellezza della nostra città (...)