Gina, madre dei poveri alla stazione che alle "Grazie" conoscevano tutti

La Gina a novembre, quando si ricordano i morti, metteva un cero ai piedi dell’altare per ogni derelitto defunto alla stazione. La conoscevano tutti, la Gina, nella parrocchia delle Grazie. Aveva il suo bel negozio di pelletteria e valigeria al centro della Galleria Fanzago ed era lì dal ‘53, da quando - a quattordici anni - venne presa come commessa dai titolari, marito e moglie di Milano, per sostituire una maternità. Gina era brava a vendere, simpatica, discreta. Tanto capace che quando i proprietari decisero di cedere l’attività proposero a lei di ritirare il negozio. Ne parlò col marito, commerciante di vini di origini pugliesi, e insieme scelsero di percorrere in quella galleria commerciale a due passi dalla stazione (la prima in città) la loro avventura. La “Valigeria”, così recita l’insegna, con gli anni è triplicata e la signora Gina è sempre stata contenta del suo lavoro. Nel ‘93, quando il marito morì decise comunque di andare avanti, aiutata dai due figli Ezio e Roberto.
[Ezio e Roberto, i figli della Gina]
Gina di cognome faceva Spinelli ed era originaria di Verdello. Da bambina si era trasferita in Città Alta perché il papà lavorava per l’acquedotto di Bergamo. Poi la famiglia si sarebbe stabilita in via Gallicciolli, nei pressi della stazione, appunto. Il 13 luglio, al suo funerale c’era la chiesa delle Grazie piena. E sull’altare quattro sacerdoti: monsignor Gianni Carzaniga, parroco di Sant’Alessandro in Colonna, monsignor Valentino Ottolini, parroco delle Grazie, don Giuseppe Bracchi, già superiore del Patronato San Vincenzo, e don Fausto Resmini, il prete degli ultimi. Conoscendola, dev’essere stata orgogliosa del privilegio di averli lì, tutti e quattro insieme, a salutarla.
Gina Spinelli se n’è andata mercoledì 12 luglio all’hospice della Palazzolo. Aveva 79 anni e da cinque era malata di tumore. Il male, partito dal seno, le aveva intaccato le ossa, ma nessuno l’ha mai sentita lamentarsi: c’era troppo da sistemare per dar retta ai dolori e troppe cose nel mondo non andavano nel verso giusto. Determinata e positiva, raccontano i figli che ebbe un contraccolpo solo quando la chemio le aveva fatto perdere i capelli. A una donna certe cose fanno più male di altre, ma il negozio richiedeva la sua presenza e poi con l’avanzare dell’età i suoi figli erano aumentati: a quelli naturali si era aggiunto un figlio di elezione, “il don Fausto”, e dietro a lui tanti altri, i poveri della stazione. Per anni la signora Gina li aveva osservati dall’altra parte di via Angelo Mai, linea di confine fra la città borghese e la città degradata. Un giorno, però - nel 2004 -, don Carzaniga, che allora era parroco delle Grazie, le propose di andare insieme a vedere cosa ci fosse oltre il piazzale degli Alpini. Di là trovarono don Fausto che tutte le sere si prendeva cura di decine di derelitti offrendo loro cibo e coperte. «L’incontro con don Fausto per nostra madre fu come una folgorazione - ricordano Enzo e Roberto -, come se avesse acceso la miccia su quello che lei avrebbe da sempre voluto fare. Ad amare i poveri le aveva insegnato suo padre, ma lei dopo quel giorno era rinata: le si era aperto un mondo nuovo e l’ha aperto anche a noi».
[Gina Spinelli (la seconda da sinistra) con le amiche di piazzale Alpini]
Intorno alla povera umanità che abitava la terra di nessuno della stazione, Gina chiamò a raccolta tutte le sue amiche. «Quella di Villa d’Almè che lavora al mercato della frutta, poi la Mina, la Paola, la signora Allegrini, quella dell’Italcanditi, l’altra dei profumi, la signora Titti e la signora Bonaldi. "Dai, diamo una mano al don Fausto". Poi si metteva d’accordo col panificio Tresoldi e con la pasticceria Dessert e c’era il pane dello Scainelli, sempre gratis due volte la settimana per il “posto caldo”, la mensa dei clochard alla stazione». La Gina aspettava l’orario di chiusura e passava a prendere i rifornimenti, soprattutto le brioche avanzate che tanto piacevano. Muoveva mari e monti e lo faceva con semplicità e allegria. Era contenta di farlo. I barboni, i drogati, i senzatetto li conosceva per nome, li ascoltava - sapeva le loro storie -, li accoglieva anche in negozio per qualche minuto e offriva loro il caffè o qualcosa di caldo al mattino, quando li trovava ancora addormentati all’interno della Galleria. «Li teneva un po’ insieme - dice don Fausto -, proprio come una madre». E come una madre li proteggeva e li correggeva. Quando la stampa riduceva quelle persone a un problema di ordine pubblico, lei attraversava il viale, saliva a L’Eco di Bergamo e spiegava ai giornalisti come stavano le cose; così, quando la politica chiudeva gli occhi, sollecitava l’assessore tale o il tal altro, di qualsiasi colore politico fosse, per richiamarlo ai suoi doveri: «Guardate che la stazione è anche vostra», gli diceva.
[Gina Spinelli e don Fausto]
Con i “figli” che vivevano in strada, Gina era prudente, ma anche severa: non si faceva prendere in giro per due spiccioli. E quando capiva che uno poteva rimettersi in gioco lo spronava con decisione a ripartire, dal proprio paese o da una comunità di accoglienza. Lei per loro c’era sempre, anche a Ferragosto, e dalla stazione il suo orizzonte si era ampliato fino a Sorisole, alla Comunità don Milani di don Fausto. «È stata una donna che ha saputo rubare un po’ di carità, cioè un po’ di amore a Dio, e farla sua», dice don Resmini. La carità che rubava la trasformava in piccoli doni, delicati gesti d’affetto e momenti di festa. Come faceva a essere così? Don Fausto non ha dubbi: «Era anzitutto una donna di fede. I parroci delle Grazie sapevano di poter sempre contare su di lei. Era lei che preparava la processione del Venerdì Santo quando il Cristo morto viene portato nella zona della stazione; era lei che, in maggio, si prodigava per la recita del rosario al piazzale degli Alpini. Nei giorni del Natale, poi, organizzava una cena con gli amici per raccogliere qualche soldo per la comunità di don Fausto. Tra gli altri rispondevano sempre l’ex sindaco Bruni, l’onorevole Carnevali, le famiglie Valesini. Gina organizzava il tutto e concludeva la festa con una piccola lotteria nella quale metteva in palio metà del suo negozio. Nel dicembre scorso ha voluto essere presente a tutti i costi, anche se la schiena non la reggeva più. Qualche giorno dopo il sindaco Gori le ha consegnato la benemerenza civica con questa motivazione: "Molto si può fare per migliorare la qualità della vita della nostra comunità. Le persone che premiamo stasera ci indicano la strada, hanno fatto il bene della nostra città, premiarle significa indicarle come esempio, condividere i loro valori, prenderle a riferimento per dire a noi stessi che questa è la strada da percorrere"».
Gina Spinelli quella sera era emozionatissima: non pensava che Bergamo si fosse accorta di una donna semplice come lei. Che, insegnando a tanti ad andare oltre il piazzale degli Alpini, ha lasciato una bella eredità, anzitutto ai suoi figli. Per Ezio e Roberto l’appuntamento fisso con la mensa dei poveri è il martedì sera. Ora, davanti alla Valigeria, sono quasi imbarazzati mentre dicono: «Siamo contenti di nostra madre».