Godersi un libro, aspettando Godot
Godersi un libro. Goderselo aspettando Godot, seduti al caffè parigino più amato da Gurdjieff. E pagina dopo pagina entrare in un universo incantato dove concetti in apparenza stralunati e originali sono racchiusi nelle griglie di geometrie e dimostrazioni matematiche. È questa la proposta di Eugenio Dario Lai, scrittore torinese al suo esordio con Aspettando Godot al Caffè de La Paix ( Miraggi Edizioni - pag. 192 - 15 euro), un romanzo atipico che contiene tutte i segni e le tracce dell'insegnamento sapienziale dettato da molteplici suggestioni della tradizione iniziatica.
Epicentro del racconto Samuel Beckett e la sua celeberrima opera, sviscerata con passione e evidente anelito della scoperta di una verità dimostrabile tutta racchiusa nella simbologia astrusa del drammaturgo irlandese. Lai, munito della lente dell'investigatore si impegna in una esplorazione ardita, fatta di numeri, di analogie, di sorprendenti incastri tra i nomi dei personaggi e leggi della cabala. E come tutti i grandi indagatori non esita a provare numerose strade, anche le più difficili e scoscese per arrivare alla dimostrazione del suo teorema.
Aspettando Godot è insomma molto di più di una messa in scena teatrale in cui certo si vuole alludere alla inanità dell'esistere stesso, alle illusioni di ogni aspettativa, alla surreale presenza scenica di personaggi quasi privi di forma umana vera a e propria. Per lo scrittore torinese si deve scavare molto più profondamente per poter leggere nelle pieghe minute del messaggio beckettiano un codice segreto che può essere decifrato in termini molteplici, non ultimo il sistema di una peculiare numerologia applicata a personaggi e nomi in grado di spiegare e giustificare l'intera opera.
Difficile operazione, quella di Eugenio Lai, che propone al lettore un viaggio trasversale dentro un gran numero di orientamenti e dottrine simboliche. Così i miti nordici si sposano con Castaneda, con Gurdjieff, noto filosofo armeno, e con le più recenti impressioni provenienti dall'universo del Nome della Rosa o del Codice da Vinci. Si viaggia molto con questa lettura e nel contempo è evidente in che misura Lai racconti di sé, delle proprie esperienze formative personali, mettendo dentro personaggi reali e altri immaginati, che rappresentano scaglie di una personale evoluzione e in certi casi rivelano la presenza di un alter ego.
Come ogni scrittore alle prese con la sua opera, Lai è preso da "sana follia" e a un certo punto l'amore per il suo oggetto di studio si trasforma in immedesimazione. Lo rivela ad Alessandra, che nella finzione romanzesca è figlia dell'amico d'infanzia: arrossendo ammette di sentirsi in qualche misura "gemello astrale" di Samuel Beckett. Un romanzo come quello di Eugenio non si racconta, perché se ne smarrirebbe il gusto, se ne potrebbe perdere il sapore che è quello desiderato da ogni enigmista. Godersi Godot, tra le ombre dei postriboli di "rue de Godot" e la luce di Dio, quel God impresso nel nome, capace di indicare direzioni.