Gori e la coerenza di Percassi

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C’è qualcosa che non mi convince nella presa di posizione del sindaco Gori sugli incidenti seguiti a Atalanta-Inter, pubblicata oggi come editoriale da L’Eco di Bergamo («Infangano il nome di Bergamo e dell’Atalanta»). Due aspetti, in particolare: l’analisi del problema e l’ordine delle soluzioni proposte.

Facendosi interprete del sentimento della città, Gori esordisce con un indignato: «Adesso basta». Non è una novità: sono anni che lo si ripete sui giornali, L’Eco in primis; la novità è che adesso a dirlo sia il sindaco. Per quanti avessero la memoria corta, ricordiamo che Bergamo ha vissuto una stagione – il primo decennio del Duemila -  in cui gli scontri a cui abbiamo assistito sabato erano la regola una domenica sì e una domenica no, cioè tutte le volte che l’Atalanta giocava in casa. E le violenze erano ben peggiori. Anche allora c’era chi diceva basta, ma erano voci isolate e poco ascoltate. È buona cosa dunque che il primo cittadino scenda in campo per denunciare comportamenti intollerabili.

Quello che però Gori non dice è che negli ultimi anni a Bergamo la situazione dell’ordine pubblico legata al calcio è decisamente migliorata. Noi ne siamo stati testimoni privilegiati ed è il motivo per cui l’indignazione di oggi ci sembra fuori misura. Gori parla esplicitamente di «quaranta deficienti, farabutti di vent’anni che giocano a fare i guerrieri trasformando la città in un campo di battaglia». Qualche anno fa, lo ricordiamo bene, i «deficienti» erano centinaia, forse migliaia. Non si può non tener conto di questo fatto se si vuole che le cose cambino veramente. A meno di miracoli, gli uomini e le città non si modificano da un giorno con l’altro ed è importante, quando la politica analizza un fenomeno, che ne colga l’evoluzione o l’involuzione. Dicendo questo non vogliamo difendere gli ultrà, ma faremmo un torto alla realtà se continuassimo a parlare del fenomeno del tifo organizzato con schemi vecchi.

Questa debolezza di diagnosi ha inevitabilmente conseguenze sulle soluzioni proposte da Gori. La prima delle quali – davvero sorprendente – è che Percassi, il presidente dell’Atalanta, sia coerente fino fondo. Coerente a che cosa? Sta forse dicendo, il sindaco, che il metodo del dialogo con gli ultrà portato avanti dalla società, e che evidentemente qualche buon risultato lo ha ottenuto, va interrotto in nome di una tolleranza zero? E lo sta dicendo proprio adesso che «i farabutti» non sono più migliaia ma solo poche decine? Francamente faccio fatica a capire. E cosa intende il sindaco quando aggiunge: «Zero rapporti con gli ultrà violenti»: davvero pensa che la società nerazzurra conosca e tolleri quanti hanno provocato gli scontri di sabato? Mi sembra quantomeno un’accusa ingenerosa e anche un po’ offensiva. Se il sindaco è a conoscenza di qualche connivenza dell’Atalanta coi delinquenti, sa bene che cosa deve fare. A meno che la questione sia la partecipazione del presidente nerazzurro all’annuale Festa della Dea, frequentata da migliaia di bergamaschi. Ho sentito spesso rivolgere ai Percassi questa accusa, ma anche qui un occhio attento dovrebbe valutare se questa scelta non vada nella direzione di favorire un clima civile, piuttosto che in quella di assecondare comportamenti border line. L’estate scorsa la Festa della Dea è stata un momento importante di aggregazione, secondo uno spirito molto diverso da quello che aveva caratterizzato gli eccessi di passione calcistica degli anni precedenti.

Poco da dire, invece, sulla seconda soluzione proposta dal sindaco: «I responsabili degli scontri siano identificati e puniti». Mi pare un’ovvietà. Ma fa piacere leggere che finalmente – è passato un anno – anche Gori prenda le distanze dalle punizioni inflitte a tutto il tifo atalantino in seguito ad Atalanta-Roma. Noi di Bergamopost glielo avevamo chiesto a più riprese, ma allora il sindaco non se l’era sentita di mettere in discussione gli ingiusti provvedimenti decisi dalle istituzioni.

Un’ultima riflessione. Sia Percassi nel suo duro comunicato di domenica, sia il sindaco hanno insistito sul fatto che episodi gravi come quello di sabato infangano il nome di Bergamo e dell’Atalanta. È così. Anche qui però mi sia concesso di aggiungere una cosa: il problema non è solo salvaguardare il buon nome di Bergamo e quello dell’Atalanta. La violenza va rifiutata sempre e comunque e chi commette reati deve essere condannato, ma a noi resta da chiederci che cosa ci sia nella testa di quei «quaranta deficienti di vent'anni» e che cosa li spinga a far disastri. Tanto più che non si tratta di extracomunitari coi quali prendersela come capri espiatori: questi sono figli nostri.

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