Dal sito ufficiale dell'Atalanta

La lezione di Favini ai ragazzi «Chi ascolta cresce più in fretta»

La lezione di Favini ai ragazzi «Chi ascolta cresce più in fretta»
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Riproponiamo qui di seguito l'intervista rilasciata da Mino Favini al sito ufficiale della società nerazzurra, Atalanta.it. Favini è il responsabile del settore giovanile dell'Atalanta e nella sua lunga esperienza ha cresciuto intere generazioni di calciatori. A livello europeo è riconosciuto come uno dei più grandi maestri di calcio e di vita. 

«C'è una cosa che ripeto costantemente da anni e che ho già detto a tutti anche quest'anno: i ragazzi ritengono che sia più difficile parlare che ascoltare. No, è molto più difficile ascoltare. Chi sa ascoltare, impara e cresce più in fretta, si toglie i difetti e migliora più in fretta. Saper ascoltare è molto più importante che parlare». Mino Favini non si stancherà mai di ripeterlo e non ci stancheremo mai di ascoltarlo. Perché ascoltare Mino Favini è ogni volta una lezione, non solo di calcio, ma di comportamento, di stile, di vita. Dal 1991 grazie alla felice e lungimirante intuizione di Antonio Percassi, è l'oro dell'Atalanta, il segreto di un serbatoio che in quasi cinque lustri ha sfornato centinaia di calciatori, molti buoni, alcuni diventati eccellenti.

Favini, passano gli anni ma la sua passione è sempre quella del primo giorno.
«Sono arrivato alla fine del 1990, praticamente si può dire che ho iniziato a lavorare per l'Atalanta nel 1991. Sono tanti anni, sono passati anche in fretta. L'entusiasmo è quello di sempre: se sto a casa un giorno in più, divento nervoso quindi è meglio che venga sui campi a Zingonia».
Si ricorda ancora quando la chiamò Percassi?
«E come potrei dimenticarmelo? Pensate che ero arrivato a Bergamo convinto di restare dov'ero, a Como dove stavo benissimo».
Invece da 24 anni ormai fa la fortuna dell'Atalanta.
«È successo che Percassi in dieci minuti mi ha fatto cambiare opinione. Incredibile. Mi convinse per il progetto che aveva in testa, per l'entusiasmo, per l'interesse importante che aveva dimostrato per il settore giovanile. E quindi ero uscito dall'ufficio convinto di accettare la proposta. E il giorno dopo ero già a Bergamo. Ci eravamo visti nei suoi uffici in centro a Bergamo, c'era anche l'indimenticato Franco Previtali. Percassi era così convinto di quelli che erano i suoi progetti e le sue idee sul settore giovanile che mi colpì a tal punto da farmi cambiare idea. Quell'interesse particolare sul vivaio dimostrato e dichiarato da un presidente di società professionistiche mi aveva lasciato stupito e convinto».
Siamo agli inizi degli anni '90: a quei tempi investire sul vivaio sembrava un'utopia.
«Non erano tante le società che puntavano così sul settore giovanile. Io avevo ottenuto ottimi risultati al Como per cui pensavo di fermarmi ancora là perché le cose andavano a gonfie vele, però alla fine mi sono reso conto che è stato meglio che venissi qui. E sono qua ancora dopo ben 23 anni...».
Lei non è cambiato da allora. E Percassi?
«Il presidente ha sempre lo stesso entusiasmo, la stessa voglia e la stessa attenzione per i giovani, anche se sono cambiate le situazioni in questi cicli di percorso. Io un tempo dicevo che i cicli generazionali cambiavano ogni 15 anni, adesso cambia tutto in 3-4 anni. Però l'entusiasmo del presidente mi sembra sempre uguale. Chiaramente è diventato più difficile l'approccio in quanto c'è stata l'invasione delle grandi società anche nella Bergamasca. Parlo di Milan e Inter, che una volta trascuravano addirittura anche il loro territorio. E noi a Milano avevamo pescato bene, basta pensare a Consigli, Brivio, Molina. Adesso è diventato più difficile perché vengono loro a pescare da noi, anche se stiamo cercando di correre ai ripari per far sì che il meglio di quel che nasce a Bergamo e nella Bergamasca resti all'Atalanta».
Parlava di attenzione per il vivaio: lo dimostrano i recenti investimenti fatti anche per potenziare l'organigramma dirigenziale.
«Vero, gli ultimi interventi che riguardano le persone che devono condurre il settore giovanile sono importanti perché bisogna guardare avanti e bisogna a rigor di logica pensare anche che certi percorsi debbano finire e se ne debbano iniziare altri. È chiaro che in questo momento ognuno si rifà a quello che è stato fatto, ma quello che è stato fatto è andato: ora bisogna pensare al futuro».
Sempre però con la filosofia importata da Favini.
«Il mio spirito non cambia. Ed è diventato un marchio di fabbrica. Noi percorriamo un percorso lungo che nasce fin dalla scuola calcio, dall'Attività di Base che per tanti anni ha fatto capo al Maestro Bonifaccio con ottimi risultati e che ora sta facendo capo a Bonaccorso con risultati altrettanto buoni, ma è naturale che a questo si possano aggiungere altre opzioni importanti. Ecco perciò l'arrivo di persone come Maurizio Costanzi che si interessa di calcio a largo raggio: non guarda solo il territorio bergamasco, ma tutti i settori non solo d'Italia ma nel mondo».
Certo che un tridente come quello dell'Atalanta formato da Favini, Finardi e Costanzi si può considerare da top team.
«Può darsi che il mio percorso stia finendo e ritengo giusto che la società si sia occupata di preoccuparsi di quello che è il futuro del settore giovanile. Io ufficialmente resto il responsabile del settore giovanile, ma è chiaro che non mi posso più occupare di tutti i problemi come succedeva qualche anno fa, e perciò sono state inserite persone importanti che hanno conoscenze e competenze. I problemi si sono moltiplicati e sono diventati notevoli. Di recente sono andato a rileggermi una mia intervista che avevo rilasciato al direttore dell'Eco di Bergamo Ettore Ongis 8-9 anni fa. E mi sono reso conto che è ancora attuale, perché le problematiche sulla crescita dei ragazzi sono purtroppo ancora le stesse. Anzi, è diventato tutto enormemente più difficile. E adesso capitano in anticipo, iniziano a riguardare anche i ragazzi di 9-10 anni. Per stare dietro a tutte queste problematiche c'è bisogno di più persone competenti».
La sinergia al vertice del settore giovanile è evidente.
«Sono in costante contatto con Finardi e Costanzi: mi tengono informato di tutto quello che succede. Io naturalmente prediligo il campo piuttosto che la scrivania. Tra di noi si è creata una grande sinergia. Si è allargato il raggio delle persone che hanno conoscenza e competenza e che quindi possono preparare bene il futuro dell'Atalanta nel settore giovanile».
Il vivaio quest'anno da quali concetti riparte?
«Direi che ripartiamo dai soliti concetti: io sono per una scelta attitudinale tecnica di base, nella selezione, però se oltre alle qualità e attitudini specifiche, c'è anche una situazione fisico-atletica che nel tempo può essere valida, tanto di guadagnato. Si completano i famosi 4 punti di riferimento: l'aspetto tecnico, fisico, atletico e tattico. Ma oltre a questi quattro concetti cardine, oggi sono indispensabili il carattere, la volontà, lo spirito di sacrificio e di gruppo, il sentire la maglia, l'appartenenza. Chi è dotato di queste qualità parte già con un vantaggio sugli altri».
Anche quest'anno presentate tante squadre competitive e ricche di talento. Come sempre i maggiori riflettori sono puntati sulla Primavera, la squadra ammiraglia del settore giovanile.
«Abbiamo tenuto un gruppo abbastanza largo perché non avevamo certezze su alcuni ragazzi tra i più giovani. Io penso che possa rivelarsi una buona squadra, anche se magari occorrerà un po' di tempo, ma Bonacina ha tutte le caratteristiche per assemblare un buon gruppo e ottenere anche buoni risultati. Che poi a lungo andare, il risultato che conta è uno solo: portare i ragazzi in prima squadra. E quest'anno ce ne sono parecchi: quello è il nostro scudetto. Ci penserà poi Colantuono a guidarli. Erano tutti ragazzi dotati di buone qualità, parlo soprattutto dei 92, da Sportiello a Baselli, da Suagher a Molina, tutti ragazzi dello stesso gruppo dotati di buonissime qualità. Adesso è un punto di partenza importante: i ragazzi che sono qui devono capire che occorre fare ulteriori passi avanti per poter dire “forse sto arrivando”. Ma sono tutti sulla buona strada».
Chi può dire di essere arrivato dopo aver fatto tutta la trafila nel vivaio è Bellini, diventato il simbolo e la bandiera dell'Atalanta.
«Bellini è un esempio incredibile di quello che dovrebbe essere un ragazzo che proviene ed esce dal settore giovanile. Ha iniziato qui da bambino, ha fatto tutta la trafila, si è comportato in prima squadra come meglio non poteva fare, è ancora oggi un punto di riferimento per tutti i compagni per correttezza, intensità, applicazione, dedizione, attaccamento alla maglia. Punti di riferimento che fanno da traino a tutti. Io lo porto spesso come esempio ai miei ragazzi. A lui aggiungerei anche Raimondi, due ragazzi positivi sotto tutti gli aspetti».
E sono un po’ l'emblema del giocatore-modello che vuole crescere il vivaio dell'Atalanta: l'obiettivo è crescere calciatori che siano prima di tutto uomini.
«Una delle cose piacevoli che mi sento ripetere spesso ogni anno, visti i tanti ragazzi cresciuti da noi che militano in altri club, è che tutti fanno riferimento all'atteggiamento, al comportamento, anche all'educazione dei ragazzi cresciuti e nati calcisticamente qui. Mi fa enormemente piacere e va dato merito a tutti quelli che li hanno cresciuti, dall'Attività di Base in su. Perché tutti i ragazzi che vedete sono il frutto di un gran lavoro di squadra».

 [Clicca sull'immagine per visualizzare l'intervista su L'Eco cui Favini fa riferimento]

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