Cento anni di Charlot Com'è nato e chi era (davvero)
Si dice che fosse un pomeriggio piovoso, quello di cento anni fa. Dagli spogliatoi della Keystone, una delle prime case cinematografiche americane, uscì un omino con addosso abiti che parevano non andare per nulla d’accordo tra di loro. Il cappello era del suocero di Fatty Arbuckle, a cui invece appartenevano i pantaloni. La bombetta ondeggiava in bilico sulla grandezza dei secondi, enormi e sformati. La giacca, attillata da andare bene a un bambino, era quella di Charles Avery. La scarpe, grandi, di Ford Sterling. I baffetti, preparati per Mack Swain, montati a spazzola per invecchiare una faccia giovane, ma senza nasconderla. E il bastone, per tenere in piedi il tutto. Un personaggio nato in prestito, si direbbe, per montaggio di altri personaggi. E creato senza premeditazione: «Il costume e la truccatura mi fecero capire che tipo era. Cominciai a conoscerlo, e quando mi incamminai verso l’enorme pedana di legno, esso era già venuto al mondo». Mack Sennett, il proprietario della Keystone che aveva insistito con Chaplin perché ideasse un “omino buffo”, poteva dirsi soddisfatto. Il suo nome sarebbe stato Charlot, il vagabondo.
Breve carrellata di film. Charlot comincia a muovere i primi, ondeggianti passi in Charlot si distingue, 1914 (Kid Auto Races at Venice è il titolo originale). Il tema, una gara di macchine, s’inscrive perfettamente all’interno del genere slapstick, che fonda la comicità sulla mimica del corpo. L’esempio più noto è la celebre scivolata sulla buccia di banana. I film successivi testimoniano la crescita del personaggio, e dell’attore che lo incarna, che sembra essere sempre più a suo agio con un corpo che si muove come se non avesse articolazioni. Da Il monello (The Kid, 1921), alla Febbre dell’oro (The gold rush, 1925), a Luci della città (Citylights, 1931), per finire con Tempi moderni (Modern Times, 1936), Charlot è lo spettro luminoso su cui si misurano le miserie del «sottoproletariato», per riprendere il termine usato, forse un po’ capziosamente, da Bertold Brecht. Quell’arte di arrangiarsi e di sopravvivere a oltranza resterà nell’immaginario collettivo, cristallizzata in alcuni fotogrammi. Come quelli che vedono uno Charlot affamatissimo divorare un paio di scarpe, dalla suola alle stringhe, come se fossero succulente bistecche all’osso (La febbre dell’oro).
Charlot era buono? Parole autorevoli hanno messo in luce il rischio di credere buono Charlot. La «banalità del male» del Vagabondo è quella «dell’uomo più povero e oscuro del mondo, che per mangiare ruberebbe ai deboli fra i deboli» (FrançoisTruffaut), «dell’uomo della folla di fronte al capitalismo moderno» (György Lukàcs), disposto a tutto pur di uscire dalla propria condizione di indigenza. Fin qui la critica, il cui giudizio è stato, forse, influenzato da quello di tutta un’epoca, quella che ha preceduto, e che ha portato, alla Seconda guerra mondiale. E al Grande dittatore, nel 1940. A quel punto neanche Charlot, con la sua poetica da spiantato sfortunato, sarebbe potuto sopravvivere. Uscito a braccetto della sua signora dai Tempi moderni, ci ha lasciato a Adenoid Hynkel, e all’arte di mettere in scacco il male (vero) con l’arguzia dell’intelligenza.
Chi era Charlie Chaplin (in pillole). Charles Spencer Chaplin nasce a Walworth, sobborgo di Londra il 16 aprile 1889. I genitori sono due intrattenitori musicali. Il padre lascia la moglie, Hannah Hariette Hill, quando Charles ha solo un anno. Hannah canta nei vaudevilles e nei cabaret, ma la storia racconta che un giorno la voce le venne meno nel mezzo di una esibizione. Dovette lasciare il palco in lacrime, tra gli insulti degli avventori. Il figlio prese il suo posto e portò a termine il numero, cantando una canzone all’epoca molto popolare, ‘E Dunno Where ‘E Are (Loro non sanno dove sono, ndr). Iniziò così, nei toni di un dramma familiare, la carriera di Charlie Chaplin. Il suo talento venne notato da Fred Karno, che lo scritturò nella sua compagnia, e poi da Marck Sennett. Chaplin lavorò per la Keyston, la casa cinematografica di Sennett, fino al 1916, quando passò, prima, alla Mutual e, in seguito, alla First National, da cui venne ingaggiato come attore indipendente. Nel 1919, insieme a David Griffith, Douglas Fairbanks e Mary Pickford, creò la United Artists, una casa di produzione indipendente che voleva essere indipendente rispetto ai grandi circuiti della giovane industria della settima arte. Le sue idee populiste caddero in sospetto di comunismo durante gli anni Cinquanta, in pieno Maccartismo, tanto che nel 1952, mentre si trovava a Londra, gli fu negato il permesso di fare ritorno negli Stati Uniti. Chaplin visse fino agli Settanta in Svizzera, paese ben noto per la sua neutralità politica, tornando in America solo per ricevere l’Oscar. Morì a Corsier-sur-Vevey, in Svizzera, nella notte di Natale del 1977.