I fratelli nel calcio
Ci si può immaginare la scena di un tifoso abruzzese qualunque che, leggendo un po' sommariamente il titolo del giornale, cade dalla sedia incredulo di fronte a quanto ha sotto gli occhi: Pogba al Pescara. La notizia è di mercoledì 30 luglio, e ovviamente va spiegata: non si tratta di Paul, gioiello francese della Juve, bensì del fratello Mathias, calciatore pure lui ma dalla carriera (per ora) più modesta. Ha due anni in più del centrocampista bianconero, un rapporto strettissimo con lui e lo stesso procuratore, Mino Raiola. Le analogie però si fermano qua: perché se Paul è titolare inamovibile della Nazionale Francese Mathias si è dovuto accontentare della maglia della Guinea. E, se il primo a soli 21 anni ha già vestito le maglie di Manchester United e Juventus, il secondo per ora si è destreggiato tra Crewe Alexandra e Wrexham, club ai confini tra professionisti e dilettantismo britannico. Con buona pace del tifoso abruzzese.
Come i Pogba, meglio o peggio di loro. La storia del calcio è piena di talenti trasmessi in famiglia, giovani campioni cresciuti sotto lo stesso tetto, esplosi assieme e, a volte, fianco a fianco per tanti anni nelle stesse squadre. Quando finì la Seconda Guerra Mondiale, l'Italia divenne la terra dei Sentimenti: ben cinque, passati dalla bassa modenese ad un'infinità di squadre dello scarpone. Cinque erano anche i fratelli Cevenini, tutti all'Inter negli anni Venti: per due partite scesero in campo anche contemporaneamente, una di queste fu un derby vinto grazie alle loro reti. Senza sforzare troppo la memoria si riescono a trovare numerosi esempi anche nelle ultime stagioni. A Bergamo, ad esempio, abbiamo visto (ma in epoche diverse) i fratelli Inzaghi: se Pippo scelse l'Atalanta per sbocciare, Simone ci finì (con magri risultati) a fine carriera. In nerazzurro si ricordano anche i gemelli Damiano e Cristian Zenoni,che giocarono insieme con l'ex mister atalantino Giovanni Vavassori facendo parte della famosa banda dei "Vava Boys" che sfiorò l'Europa nel 2000/2001. Pure il più famoso dei Lucarelli, Cristiano, calcò il verde prato dell'Atleti Azzurri d'Italia, mentre il fratello Alessandro ci finì soltanto da avversario. Meno fortuna ebbero dalle parti di Zingonia Iñacio Pià e il fratello Joelson, al pari di Vinicio e José Espinal. Andando lontano da Bergamo la carrellata potrebbe proseguire all'infinito: in Olanda sono famosi i gemelli Frank e Roland De Boer, Emanuele e Antonio Filippini contribuirono alle fortune del Brescia, mentre in Inghilterra si applaudono Kolo e Yaya Touré (uno al Liverpool e l'altro al Man City), ricordando i fasti di Gary e Phil Neville. Tutti calciatori, tutti fratelli l'uno all'altezza dell'altro.
I paragoni. Tutti forti allo stesso modo? Non proprio, c'è anche una categoria di sportivi cui, invece, il cognome sulle spalle ha pesato eccome. Non sempre i cromosomi bastano per trasmettere la classe calcistica, e il rischio per il povero Mathias Pogba è quello di finire ad essere sempre e solo “il fratello di”, abbandonato in un limbo dove si ricordano di te solo per le imprese del consaguineo e non per le tue. Lo sa bene Hugo Maradona, zavorrato da quel «Un giorno diventerà più forte di me» pronunciato dal fratello più anziano Diego. Non ci poteva essere biglietto da visita migliore per presentarsi in Italia: nell'87-88 arrivò in Serie A, all'Ascoli, dove però ben presto s'accorsero della sua vena fin troppo rilassata. Fu titolare solo 3 volte, a fine anno fece le valigie e se ne andò. "Bidone" per eccellenza, finì a giocare nel campionato giapponese. D'altronde essere il fratello di un fuoriclasse può aiutare, sì, ma anche mettere in difficoltà: un cognome è una promessa, e la gente vuole che sia mantenuta. È quanto ha fatto, per certi aspetti, Eddy Baggio, bomber girovago tra Serie B e C: indole simile a Roberto, classe però assai diversa. Sorte simile è toccata a Massimiliano Vieri, fratello di Bobo, che ad Inter e Milan ha sempre preferito Ancona, Brescello e Napoli (dove però segnava eccome) e che per poter vantare qualche presenza in campo internazionale ha scelto di far valere le sue origini australiane e farsi convocare dai Socceroos.
E poi c'è Enoch Balotelli, che con Mario condivide talvolta le pagine sui giornali patinati, ma assai raramente finisce sulle cronache sportive: ora gioca in Eccellenza. Si era parlato di lui ad aprile perché poteva finire nella selezione della Padania per la Viva World Cup, competizione non ufficiale tra territori e minoranze non riconosciute. «Io sono quello delle occasioni mancate», disse in quell'occasione, «Il fatto di essere fratello di Mario è un vantaggio nella vita di tutti i giorni, ma è uno svantaggio nel mondo del calcio dove sono e rimarrò sempre in seconda fila, diciamo pure nell’ombra».